Partigiani, quelli veri 250mila. Se vi sembran pochi…

di Riccardo Galli
Pubblicato il 16 Aprile 2019 - 08:49 OLTRE 6 MESI FA
Partigiani italiani, quelli veri 250mila. Se vi sembran pochi...

Partigiani, quelli veri 250mila. Se vi sembran pochi… (foto Ansa)

ROMA – Pochi ma buoni secondo alcuni o incredibilmente tanti, considerando il contesto storico. Sono i Partigiani italiani, i circa 130mila che all’indomani dell’8 settembre non scelsero di chiudersi in casa e nemmeno di rispondere alla chiamata repubblichina.

Pochi, è vero, rispetto ai milioni che si erano iscritti al partito fascista e che avevano riempito le piazze di Mussolini, ma tantissimi considerando cosa significava e cosa si rischiava a far parte della Resistenza. Molti di più, paradossalmente, quelli che dopo la Liberazione cercarono di farsi passare per Partigiani, seguendo l’italico ed umano istinto che porta il carro dei vincitori ad essere sempre affollatissimo.

A pochi giorni dall’anniversario della Liberazione, e mentre il ministro dell’Interno considera il 25 aprile un derby tra due squadre simili e non ritiene valga la pensa schierarsi, a fare i conti in tasca alla Resistenza è lo storico Giovanni De Luna che ricorda come, alla fine, i Partigiani ‘ufficiali’ furono 137.344. Un numero uscito dalle commissioni che alla fine della guerra furono chiamate a dare la ‘patente’ di Partigiano.

Commissioni che dovevano vagliare, cioè, le affermazioni di chi si presentava dicendo di aver fatto parte della Resistenza; commissioni che furono composte per lo più da ex combattenti e che furono costrette ad essere molto severe. Costrette perché, a guerra finita, la patente di Partigiano valeva un indennizzo economico che faceva gola a molti e perché, soprattutto, poteva significare un bel colpo di spugna su un passato fascista divenuto scomodo.

Per queste ragioni alle suddette commissioni si presentarono molti più dei 130mila poi riconosciuti. Ma anche fare i conti con chi presentava domanda in buona fede non era cosa semplice, in virtù della natura stessa della Resistenza che sfuggiva e mai aveva avuto un’organizzazione ufficiale e formale in grado di distinguere, senza ombra di dubbio, chi ne aveva fatto parte da chi no.

Un conteggio molto vicino a quello fatto da Guido Quazza, riportato da De Luna e che stimava 9/10mila combattenti nel dicembre del ’43, 20/30mila nella primavera successiva, 70/80mila nell’estate del ’44, 120/130mila nella primavera del ’45 e 250mila dopo la Liberazione. Numeri che a molti, e anche allo stesso De Luna che titola il suo articolo sul tema apparso su La Stampa “Non tanti ma buoni”, appaiono piccoli. Ma non è proprio così. Furono certamente buoni visto l’apporto che la Resistenza portò alla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, ma non pochi.

Nel giro dell’anno e mezzo che passo dall’8 settembre del ’43 al 25 aprile del ’45 oltre 100mila italiani decisero di prendere le armi e combattere una guerra che persino il loro Re aveva abbandonato e dove il Duce, che li aveva governati negli ultimi 20 anni, era ora alleato con i nemici del Re.

In questo quadro e con l’Italia divisa a metà tra la parte liberata in mano agli Alleati e quella in mano alle camice brune di Hitler chi non era nell’esercito regolare e chi non aveva seguito il capo del fascismo a Salò poteva imboscarsi, tornare a casa, cercare parenti e amici persi durante la guerra ma, 100 e più mila decisero di andare nei boschi, prendere le armi e correre infiniti pericoli e rischi per riportare la Libertà in Italia.

E non era una questione politica perché, tra le fila partigiane, c’erano comunisti e socialisti ma anche cattolici e c’era tanta gente che semplicemente non ne poteva più dei torti, delle violenze e degli orrori partoriti dal fascio littorio e dalla croce uncinata. Non furono pochi. Non lo furono soprattutto alla luce di quanti, per non rischiare, una ventina d’anni prima avevano aderito al fascismo, applaudito Mussolini e fatto il saluto romano. Allora il Paese aveva chinato la testa docile per paura, con la Resistenza una fetta d’Italia decise che era giunto il momento di rialzarla.