Comunali 2016, crollo della sinistra, Renzi ha perso perché…

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 21 Giugno 2016 - 11:46 OLTRE 6 MESI FA
 Comunali 2016, crollo della sinistra, Renzi ha perso perché…


Comunali 2016, Ecco perché Renzi ha perso le elezioni, anche a Torino, dove uno smarrito Piero Fassino aveva chiesto agli amici: “Ma chi è questa Appendino?”

Comunali 2016, il giudizio di Salvatore Sfrecola, pubblicato anche sul blog Un sogno italiano, è impietoso-

A parte i risultati di Roma e di Napoli, ampiamente previsti, nessuno avrebbe scommesso sul crollo della sinistra a Torino, storica roccaforte del PCI, PDS, PD, dove Piero Fassino, un gentiluomo moderato che ha rivestito importanti incarichi di partito e di governo, è stato scalzato dalla poltrona di primo cittadino da una giovane del Movimento Cinque Stelle, Chiara Appendino, certamente con tratti professionali significativi, la laurea alla Bocconi ed una attività nel settore imprenditoriale, ma senza esperienza politica. Il voto, tra l’altro, ma è accaduto anche a Roma, ha premiato un Movimento che ha dimostrato di saper cogliere il malessere dei ceti più modesti, come dimostra il successo conquistato nelle periferie, nelle aree più disagiate, dove la povertà condiziona la vita della gente in un contesto di  trasporti inefficienti, strade dissestate, mancanza di pulizia, l’assenza di ogni decoro urbano.

Il partito democratico prende voti soltanto nei quartieri centrali nella Roma bene e nella Torino dei salotti e crolla laddove il disagio è più grande a dimostrazione dello scollamento del partito della sinistra rispetto alle classi popolari, interpretate meglio dal Movimento Cinque Stelle e, a Roma, da Fratelli d’Italia.

Un fatto nuovo sui quali si arrabattano, in difficoltà per non aver individuato questa tendenza, politologi e giornalisti adusi ad interpretare i fatti della politica avendo l’occhio al partito di riferimento, alla proprietà del giornale sul quale scrivono, senza avere la capacità di esprimere in autonomia valutazioni approfondite. È la sconfitta dei partiti che non sono capaci di interpretare le esigenze della gente, e la sconfitta degli osservatori politici sempre sul generico. È la sconfitta di Matteo Renzi che ha ritenuto di caratterizzare la sua presenza politica con slogan e parole d’ordine che sembrano tratte da un fumetto, come ha detto un commentatore durante la lunga maratona televisiva di Enrico Mentana su  La7.

È la sconfitta di un partito lontano dalla gente, governato da Roma con sms e Twitter, mentre la classe politica locale dimostra i suoi limiti per essere legata a interessi dei potentati dell’industria e del commercio. È la sconfitta di chi non ha saputo affrontare i temi della crisi economica avviando un programma di investimenti pubblici capaci di coinvolgere iniziative private che ben impegnerebbero risorse significative a fronte di progetti identificati come validi e utili al Paese. Un Paese che si allaga al primo acquazzone, che non è capace di gestire i rifiuti tossici seguendo la filiera degli adempimenti prescritti dalla produzione allo smaltimento. Un Paese che ha un sistema idraulico forestale assolutamente precario, un sistema di infrastrutture viarie inadeguate all’esigenza dello sviluppo dei commerci e del turismo, una ricchezza sempre evocata a parole ma mai perseguita nella realtà, quella che deriva dall’immenso patrimonio storico-artistico in un contesto ambientale meraviglioso. Un Paese dove gli acquedotti perdono la metà della loro portata, dove le infrastrutture elettroniche non sono all’altezza di una economia che vuole crescere.

Chiacchiere, solo chiacchiere da parte del Governo. Milioni e miliardi distribuiti a destra manca, più esattamente promessi, spesso richiamando stanziamenti già disposti, altre volte inventandone di nuovi, che rimangono sulla carta. Come rimane fumosa la riforma della pubblica amministrazione, che dovrebbe essere in realtà la prima preoccupazione di un governo perché solo con gli uomini della pubblica amministrazione, con le leggi che essi applicano e con le procedure delle quali si servono, è possibile perseguire gli obiettivi contenuti nel programma di governo.

Chi non ricorda il premier nel suo primo discorso al Senato indicare con cadenza mensile le riforme da fare? Della pubblica amministrazione, del fisco, della scuola, della giustizia, del lavoro, dell’economia, una elencazione che costretta nello spazio di un mese con una cadenza incalzante dava dimostrazione di una non conoscenza dei problemi, di una improvvisazione pericolosa, come la rottamazione di magistrati e dirigenti, oltre che di politici della vecchia scuola che ha rallentato anche laddove si poteva più celermente procedere.

Ricorda un po’ quel che accadde all’inizio della rivoluzione spagnola quando i marinari di alcune navi, baldanzosi per l’insediamento della Repubblica, gettarono a mare gli ufficiali, sì che le navi senza comando rimasero ferme nei porti non essendoci nessuno che fosse in condizioni di governarle. A dimostrazione che le professionalità non si inventano, che se necessario, come era necessario, cambiare nella classe dirigente burocratica e di supporto degli organi di governo, fare tabula rasa significa privarsi di ogni supporto quando sarebbe stato necessario selezionare tra i grand commis quelli che avrebbero potuto collaborare col nuovo governo al servizio delle istituzioni e non compromessi con precedenti esperienze ritenute non meritevoli di essere mantenute.

Sono alcuni degli errori di Matteo Renzi, un politico ambizioso, certo con qualche merito, ma con poca esperienza e zero attenzione alle proposte che non venissero dalla sua fantasia e da quella dei suoi più stretti collaboratori fiorentini. Se il giovane di Rignano sull’Arno avesse arricchito la sua preparazione oltre che con le regole dei boyscout e le furbizie che aiutano nella partecipazione ai quiz televisivi con qualche buona lettura di storia politica e delle istituzioni, probabilmente si sarebbe potuto circondare di persone utili alla sua causa ed a quella dell’Italia, perché nessun uomo di Stato, meritevole di questa definizione, distingue i propri interessi politici e personali da quelli della nazione nelle sue varie articolazioni.

In questo contesto la risposta dell’elettorato è stata sintomatica. Fassino, intervistato subito dopo la debacle ha detto “la destra si è schierata con l’Appendino”. Accade così ovunque in democrazia. Negli scontri a due se l’elettore non ha il suo candidato vota per chi è meno lontano da lui od è portatori di valori che comunque condivide. Non si tiene lontano dal seggio. È evidente che la destra che ha votato senza accordi per i candidati del Movimento Cinque Stelle assume un credito ma soprattutto si prepara a riprendere l’iniziativa avendo maturato un’esperienza importante. Rimanere fuori, orgogliosi di uno splendido isolamento è incapacità politica, assoluta.