Dire, il declino di una agenzia di stampa voluta da Berlinguer, che il Pd non ha saputo difendere

di Vincenzo Vita
Pubblicato il 14 Gennaio 2024 - 17:46| Aggiornato il 15 Gennaio 2024
Dire, il declino di una agenzia di stampa voluta da Berlinguer, che il Pd non ha saputo difendere

Dire, il declino di una agenzia di stampa voluta da Berlinguer, che il Pd non ha saputo difendere

Veniva un nodo alla gola lo scorso lunedì mattina alla manifestazione davanti alla sede dell’agenzia DiRE, ricorda Vincenzo Vita in questo articolo pubblicato anche sul Manifesto.

La foltissima partecipazione politica e associativa (con delegazioni del partito democratico, del Mov5Stelle, di Alleanza Verdi-Sinistra, della Slc-Cgil, della Fnsi, dell’Usigrai, dell’Associazione stampa romana, di Articolo21 e di NoBavaglio) già registrata dalla cronaca de il manifesto testimonia l’importanza della vertenza. Si stanno aggiungendo solidarietà pure dal fronte della destra, forse perché è stata superata ogni misura.

È augurabile, anzi, che alla ritrovata unità in strada delle opposizioni contro il governo faccia seguito un’iniziativa adeguata, a partire da interrogazioni parlamentari condivise. Soprattutto è indispensabile la delineazione di un’adeguata e moderna riforma organica del settore, che manca di fatto dal 1981.

Non si può aspettare ancora, visto che si stanno determinando mutamenti sostanziosi in un mondo dell’editoria in forte crisi e proprio per questo territorio di incursioni e di conquiste.

Spicca l’azione di Antonio Angelucci ora parlamentare di Fratelli d’Italia -proprietario direttamente o indirettamente de Il Tempo, Il Giornale, Libero e della filiera capeggiata dal Corriere dell’Umbria- interessato all’Agenzia Italia e forse a la Repubblica, senza che una decente disciplina del conflitto di interessi o un rigoroso tetto antitrust possano intervenire.

Insomma, la vicenda della DiRE va inquadrata in un contesto generale, segnato dai reiterati tentativi di condizionare la libertà di espressione. 

Le agenzie, la cui gara pubblica di assegnazione risulta quanto mai contorta ed è ancora rinviata, sono un piatto prelibato nell’età dell’omologazione e del pensiero che si vorrebbe unico. 

Le fonti vanno addomesticate e messe sotto lo scacco dei finanziamenti, cortesemente elargiti da uno stato nient’affatto imparziale e dedito se mai ai rinvii.

Ecco perché la storiaccia di DiRE ci ammonisce su ciò che potrebbe succedere pure altrove. Siamo di fronte non ad un eccesso o a un errore di percorso, bensì ad caso estremo ma sintomo di una tendenza. 

Regole e contratti vengono stracciati, le norme sono verosimilmente aggirate. Atteggiamenti da padroncini del vapore, al cui confronto la buon’anima di Marchionne appare un discolo dilettante, prendono forma. Quattordici licenziamenti e diciassette sospensioni dal lavoro senza retribuzione vergati tra Natale e Capodanno costituiscono il biglietto da visita di una imprenditoria dai tratti inquietanti. 

Dalla nascita della DiRE avvenuta nel 1988 su impulso di Tonino Tatò, strettissimo collaboratore di Enrico Berlinguer, alle ultime tornate proprietarie è passato davvero un secolo.

Dopo la non commendevole avventura di una gestione soggetta a procedimenti penali per bandi del ministero dell’istruzione, ecco ora destreggiarsi la proprietà.

Al netto delle voci su qualche presunta simpatia politica di questo o quel dirigente, ciò che appare chiaro è l’atteggiamento arrogante verso una redazione che pure ha sempre svolto un ottimo servizio.

L’avvisaglia fu nei mesi scorsi la tentata defenestrazione dalla cronaca parlamentare di uno storico esponente come Alfonso Raimo e ora la tagliola virulenta rischia di essere il prototipo di un modello che si avvicina alla Polonia e all’Ungheria. 

Con parole chiarissime si è espressa la componente del comitato di redazione Alessandra Fabbretti; ed è cruciale che agli incontri con il sottosegretario con delega all’editoria Alberto Barachini, con le organizzazioni sindacali e i gruppi parlamentari seguano atti concreti.

Se venissero ritirati i provvedimenti antisindacali decisi nei giorni passati, si potrebbe sostenere la necessità in via eccezionale di ripristinare i contributi pubblici bloccati (inevitabilmente) a causa dei procedimenti giudiziari che lambiscono la società. Davanti ad un simile disastro, un’eccezione si rende indispensabile.

La solidarietà e la lotta sono, però, sempre la priorità.