Zoom: in Aula non esiste privacy. E’ l’on. che invia gli scatti in rete

Pubblicato il 28 Novembre 2011 - 13:00 OLTRE 6 MESI FA

Mario Monti esibisce il "pizzino" di Letta

ROMA – Sul codice di autoregolamentazione dei fotoreporter in Parlamento qualcosa si è finalmente mosso. E’ una forma di censura, un vero “bavaglio al teleobiettivo” imposto con unanimità di casta. Due firme di Blitzquotidiano contestano il provvedimento togliendo la maschera dell’ipocrisia: far prevalere il diritto alla privacy nel luogo pubblico per eccellenza è un controsenso. Giuseppe Giulietti, parlamentare e giornalista, segnala fra l’altro l’artificiosa distinzione  tra giornalisti, pubblicisti e fotoreporter, stigmatizzando la protervia di penalizzare gli ultimi, il soggetto più debole (prerogative, contratto) cioè i fotografi. Pino Nicotri, cronista esperto, stila il campionario di episodi recenti zoomati dai teleobiettivi indiscreti, dai bigliettini galanti ai pizzini di governo: di attentati alla privacy non c’è traccia e il buon funzionamento dei lavori in Aula non è stato minimamente compromesso.

Giulietti, che con l’associazione Articolo 21 ha ingaggiato numerose battaglie a difesa della libertà di stampa, ha voluto sgombrare il campo da possibili accuse di doppiopesismo. “A prescindere dal nome e dal cognome dei portatori insani del virus, allo stesso modo non ci piacciono i bavagli né sotto forma di legge, né sotto forma di regolamento”. Soprattutto, da parlamentare, ci tiene a rassicurare tutti sulla “pericolosità” del fotoreporter curioso e intraprendente. “Davvero il nostro lavoro è messo in discussione dai loro scatti? Quali segreti hanno carpito? Possibile mai che, dentro l’aula, si possano tenere comportamenti che debbano restare segreti?”

Come Giulietti, anche Nicotri trova particolarmente odiosa la discriminazione del fotoreporter rispetto al giornalista professionista: “Prendere a pedate o intimidire un fotografo accreditato alla Camera o al Senato equivale a prendere a pedate o intimidire un giornalista professionista parimenti accreditato. Anzi, peggio. I giornalisti accreditati in Parlamento sono infatti di solito stipendiati, e ben stipendiati, con regolare contratto, mentre i fotografi di norma sono pagati a singolo fotogramma venduto ai giornali”.

Non solo: la categoria dei giornalisti, altamente rappresentata in Parlamento, si è mostrata reticente e ha omesso di soccorrere i colleghi meno garantiti. Spiega Nicotri: “Tra gli eletti al Senato e alla Camera ci sono decine di giornalisti, per l’esattezza 61. […] è senza dubbio scandaloso che questi magnifici 61 – tra i quali figurano nomi di spicco come Walter Veltroni e Massimo D’Alema, non abbiano protestato, neppure inarcando le sopracciglia, di fronte all’attacco contro ‘l’invadenza’ dei fotoreporter e soprattutto di fronte alla inaudita pretesa di azzoppare i teleobiettivi”.

Ma l’argomento contrario più forte, valido per ogni legge, regolamento, codice,  è la manifesta inefficacia, l’assoluta inapplicabilità. Scrive Giulietti: “Ma lo sanno gli estensori che la gran parte degli scatti che avvengono in aula, sono operati dai parlamentari e che i medesimi provvedono a inviare le foto direttamente in rete?” Rincara Nicotri: “Perché prendersela con i fotografi quando spesso sono gli stessi parlamentari che con i telefonini scattano foto compromettenti per avversari e nemici per poi passarle ai giornalisti né più o né meno come per i gossip e le notizie?”

Difendano, gli onorevoli, la loro privacy nelle proprie abitazioni, al mare, in barca e dove vogliono. Non in Parlamento. Giulietti: “Democrazia non significa solo governo del popolo, ma anche ‘governo in pubblico’ e quindi la trasparenza e la documentabilità di ogni atto ne rappresenta la premessa”. Nicotri: “Gli onorevoli hanno qualcosa poco onorevole da nascondere? E’ un loro diritto, ma fuori del Tempio. Se non vogliono essere colti sul fatto stiano più accorti o evitino certe cose in aula, sotto gli occhi del pubblico, fotoreporter compresi”.