Dito medio, insulto e pernacchia: le imprese di Bossi

Pubblicato il 17 Agosto 2011 - 16:19 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Insulto o pernacchia, la fenomenologia di Umberto Bossi non può tralasciare espressioni colorite, gestacci e altro che il leader leghista da sempre usa per accompagnare un concetto o per rispondere a un avversario politico. Il “nano” rifilato al compagno di maggioranza Renato Brunetta è l’ultima uscita, sortita immediatamente ripresa da giornali e siti. La spiegazione è quasi sempre la stessa: Bossi insulta quando esaurisce gli argomenti. E poi cosa c’è di più eloquente di un dito medio alzato o qualcosa di simile?

In decenni di politica il lessico bossiano si è arricchito, tanto che è possibile compilare una sorta di compilation. “Nano di Venezia non romperci i coglioni” era l’espressione esatta indirizzata al povero Brunetta che pure di recente è stato il bersaglio di un altro ministro, Giulio Tremonti, che lo definì un cretino. Prima ancora ci fu la stagione dello “stronzo”: così Bossi definì Garibaldi e pure Casini, reo di averlo definito un “trafficante di quote latte”. Il suo “sono porci questi romani” creò un incidente diplomatico con la capitale. Finì con una ricca “magnata” di polenta e pajata in piazza Montecitorio con il sindaco Alemanno e la governatrice Polverini.

Ma la propensione all’eloquio forbito non è una scoperta degli ultimi anni, vent’anni fa Bossi ne aveva anche per quelli della Prima Repubblica. “Democristiani, socialisti e comunisti”? “Gentaglia” che andava “spazzata via a calci in culo, gente da ammazzare, da tirar giù dalle spese, da portare in piazza, da fucilare”. E Berlusconi? Allora era “un mafioso” e “i quattrini che fecero la Fininvest venivano da cose oscure, da Cosa nostra”.

In tempi un po’ più recenti se la prese anche con Franco Marini, candidato a succedere a Prodi per un governo tecnico: “Meglio stare lontani dai morti, i cadaveri portano a fondo”. In ultimo l’insulto a una donna che dal balcone espose un tricolore a pochi passi dal palco del suo comizio (“ci si pulisca il culo”), e sempre da un palco, quello di Pontida, la definizione dei giornalisti (tutti): “Coglioni che scrivono falsità, lecchini di Roma padrona, leccapiedi del sistema”.