Camera e Senato si fanno la tv digitale: serve a spendere ed assumere

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 10 Maggio 2011 - 14:36 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Salvo aggiornamenti dell’ultima ora, i possessori di un decoder Sky, al canale 555 possono vedere il canale della Camera dei Deputati. Realizzato dalla Rai, è attivo da circa 15 anni e costa, solo per l’affitto delle frequenze, 395mila euro l’anno. Soldi che la Camera paga, soldi pubblici. Una manciata di canali più indietro, al 525, c’è invece il canale del Senato, più giovane, on air da scarsi dieci anni, e meno costoso: solo 384mila euro l’anno. Ci poi sono 30 mila euro circa spesi ogni anno per la web tivù, e poi le spese per i dipendenti, l’elettricità, le attrezzature. Poco più di 800mila euro per mandare in onda le dirette delle sedute di Palazzo Madama e Montecitorio, servizio lodevole, anche se definirlo di nicchia è un filo riduttivo. Troppo? Macché, casomai troppo poco.

In un mondo in cui l’apparire è tutto, e in cui bisogna piazzare parenti e amici, due canali satellitari e uno web sono un’inezia, soprattutto perché non hanno praticamente redazioni e strutture da riempire. Un problema da risolvere. E, detto-fatto, ecco arrivare l’idea di Parlamento Channel. Non uno, ma ben due canali. Uno per la Camera e uno per il Senato, con relative poltrone naturalmente. E’ un progetto che esiste da tempo e ora, complice il digitale terrestre, sta entrando nella fase concreta. In quest’ottica, a Montecitorio, dove gli esperti di comunicazione non mancano, si è sentito il bisogno di ingaggiare per l’occasione anche un consulente esterno, al secolo Pino Caiola. In passato Caiola ha lavorato a Telepiù, è stato poi il responsabile della comunicazione del gruppo parlamentare di Forza Italia e più recentemente portavoce del ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito. Collaborerà ora con la commissione interna incaricata di seguire le questioni della comunicazione, affidata al vicepresidente Maurizio Lupi, che si occupa anche delle faccende relative all’etere.

Palazzo Madama ha invece una struttura specificamente dedicata all’argomento: il «Comitato per lo sviluppo della comunicazione radiotelevisiva del Senato». Costituito già nel luglio del 2009 dal consiglio di presidenza, del quale fanno parte il questore Benedetto Adragna, la vicepresidente Emma Bonino, e i senatori Alessio Butti, Silvana Amati, Paolo Franco e Lucio Malan. La volontà del Parlamento di rilanciare la propria immagine è comprensibile. Qualche mese fa il presidente della Camera Gianfranco Fini si è lamentato che ormai l’attività è ridotta all’osso con i deputati che arrivano a Roma il martedì e ripartono il giovedì, mentre il premier Silvio Berlusconi è arrivato a proporre per evitare sterili lungaggini di far votare i soli capogruppo. «Le assemblee pletoriche – ha chiosato – sono assolutamente inutili e addirittura controproducenti. Pensate che ci sono 630 parlamentari quando ne basterebbero 100». Anche se viste alcune performance in cui si sono esibiti negli ultimi tempi i nostri onorevoli e i nostri senatori forse ci vuole altro che una tv per rilanciarne l’immagine.

Il satellite, dopo la “meravigliosa” rivoluzione del digitale terrestre, rappresenta il passato. Non fa niente quindi che Camera e Senato abbiano già i loro canali satellitari, la mission è sbarcare sul digitale. Senza dimenticare di nominare direttori e vice, e poi redattori, collaboratori e chi più ne ha più ne metta. Le trattative con la Rai, che dovrebbe fornire la piattaforma tecnologica, procedono sulla base di varie opzioni, non esclusa quella di un canale comune per le due Camere. Forse la più logica ma certo la meno praticabile. In primo luogo perché con un solo canale si dimezzerebbero i direttori e vice di cui sopra, e poi perché Camera e Senato sono da sempre gelosissimi delle rispettive prerogative. A chi toccherebbe il direttore? E i dirigenti, in che modo verrebbero scelti? Senza entrare nel merito del palinsesto: chi ne avrebbe la responsabilità, e come potrebbe conciliare le rispettive esigenze? Un’impresa impossibile, anche se, probabilmente più per dovere che per sincerità, il capo ufficio stampa della Camera Giuseppe Leone si dice sicuro che il tema sarà oggetto di consultazioni fra Montecitorio e Palazzo Madama. Camera e Senato non lesinano certo già oggi nelle spese per la comunicazione.

Gli uffici stampa dei due rami del Parlamento hanno strutture imponenti. A Montecitorio ci sono un direttore e cinque capiredattori: e poi documentaristi, segretarie e commessi. Per un totale di 35 persone. A Palazzo Madama lo staff della comunicazione, che comprende un capo ufficio e tre vicedirettori, arriva invece a una trentina di unità. Due piccoli eserciti che basterebbero a confezionare uno se non due quotidiani. Numeri che oggi vengono giustificati con la singolare situazione della rassegna stampa, appaltata all’esterno ma di fatto confezionata all’interno. Camera e Senato hanno in essere uno storico contratto «necessitato» (così si definiscono quelli che hanno un fornitore obbligato) con una società specializzata, l’Eco della Stampa, che fornisce ogni giorno per via telematica centinaia di articoli. Un semilavorato poi scremato dagli uffici che provvedono ad assemblare la rassegna vera e propria. Tutto questo con un costo pari a 204 mila euro l’anno per il Senato e 427 mila per la Camera. Per un totale di oltre 630 mila euro. Che si aggiungono agli oltre 800 mila spesi per le frequenze satellitari. Somme destinate a moltiplicarsi per svariate volte nel caso in cui andassero in porto i progetti dei nuovi canali digitali terrestri. Stime precise ancora non ce ne sono. Ma che non tratterebbe di bruscolini è facilmente intuibile. Si tratterebbe di due reti tv in piena regola, con strutture organizzative, redazioni, programmi eccetera. Per non parlare del personale necessario.