Direzione Pd, minoranza non vota patto Nazareno. Renzi: “Non mi serve mandato”

di redazione Blitz
Pubblicato il 12 Novembre 2014 - 23:03| Aggiornato il 13 Novembre 2014 OLTRE 6 MESI FA
Direzione Pd, minoranza non vota patto Nazareno. Renzi: "Non mi serve mandato"

Matteo Renzi

ROMA – La minoranza Pd è schierata in trincea: non intende votare il Patto del Nazareno, appena rinnovato con Silvio Berlusconi. Ma il segretario-premier Matteo Renzi smorza gli ardori sul nascere e alla direzione Pd esordisce: “Non credo di aver bisogno di un mandato esplicito” sulle modifiche alla legge elettorale, “perché credo che la legge che sta emergendo garantisce a mio giudizio tutti gli obiettivi che ci eravamo dati”.

La minoranza del Pd siede in platea unita e battagliera, pronta a non votare, nel caso in cui il segretario-premier chieda la “ratifica” dell’accordo col Cav.

A quella parte di partito risentita perché la Direzione è stata convocata con scarso anticipo e solo dopo, non prima, del vertice con Berlusconi, Renzi risponde:

“Ho deciso di tornare in direzione dopo l’incontro con Berlusconi perché tutti i passaggi li abbiamo fatti in direzione, indipendentemente che stasera si decida di ratificare la mia relazione con un voto o meno. Se non votiamo non cambia niente perché la direttrice di lavoro è esattamente nel solco dei mandati avuti”.

Il premier ha poi dettato i tempi sulla calendarizzazione al Senato della legge elettorale:

“In queste ultime ore si è registrato un elemento di novità importante: il tentativo di concludere rapidamente il percorso della legge elettorale portando tutte le forze firmatarie del patto del Nazareno ad accettare una calendarizzazione che definire accelerata vien da ridere visto che si è bloccati su questo da un anno, ma che è un elemento importante da sottolineare”.

“Nessuno di noi considera la legge elettorale il problema principale degli italiani”, ha premesso

“ma è a mio giudizio il pin per il telefonino, la password per il computer, il presupposto per dire agli italiani che facciamo sul serio”

L’Italicum, ha spiegato il premier

“è un passo storico in linea con la storia del Pd perché si definisce un vincitore, una lista vincitrice. In questo modo diventiamo istituzionalmente un partito comunità che non solo punta alla maggioranza del paese ma maggioranza e minoranza trovano un modo di rispettarsi e stare insieme e indipendentemente dal concetto di disciplina interna”.

Poi ha spiegato nei dettagli quanto concordato con l’ex Cavaliere

“Sulla soglia di sbarramento si è aperta una discussione: noi abbiamo detto che bisognava impedire ai piccoli il potere di veto ma se dai il premio alla lista il potere di veto non è più sulla governabilità. Non è un tributo ai piccoli ma un concetto logico”.

Sulla legge elettorale “si è trattato di stringere”:

“Con Forza Italia siamo d’accordo che se in sede di voto non su tutto saremo d’accordo, andremo comunque avanti consapevoli che questa legge elettorale consente governabilità e rappresentanza”.

“Sul tema del premio di maggioranza alla lista c’è qualche perplessità di Forza Italia che rispettiamo”.

Mentre sull’altro nodo da sciogliere, il Jobs Act, nel giorno in cui in commissione vengono depositati 550 emendamenti, il premier si limita a precisare

“per me il mandato della scorsa direzione è un punto di riferimento. In commissione si può chiudere rapidamente con due alternative: procedere con la fiducia o garantire l’entrata in vigore dal primo gennaio anche con modifiche da verificare insieme alle forze della coalizione”. 

Dunque in commissione alla Camera si pongono due alternative: “Procedere con la fiducia o garantire l’entrata in vigore dal primo gennaio anche con modifiche da verificare insieme alle forze della coalizione”. Mantenere gli impegni, ribadisce Renzi, è fondamentale per poter andare a rivendicare il proprio ruolo in Europa. Ma vuol dire anche assumersi la responsabilità di cambiare le cose mentre “fuori in tanti cercano di aizzare la piazza rischiando di esserne sommersi”. Parole che, precisa, non si riferiscono al “sindacato” che “merita rispetto” anche quando, come la Cgil, indice uno sciopero generale.

L’intervento del segretario però non convince affatto la minoranza del partito. Sulla legge elettorale c’è la richiesta di modificare il sistema dei capilista bloccati e ridare, spiega Alfredo D’Attorre, “la parola ai cittadini”. Sul Jobs act la fiducia su una delega in bianco, afferma Stefano Fassina, porrebbe “un problema politico e costituzionale”. Se il testo restasse immutato, anticipa Francesco Boccia, “molti” non lo voterebbero. Senza considerare che l’accelerazione sulla legge elettorale fa sorgere alla minoranza (lo dicono in direzione Fassina e D’Attorre) il sospetto, nonostante le rassicurazioni di Renzi, che la tentazione siano le elezioni anticipate.

Alla fine non si va alla conta. Renzi rinuncia a mettere ai voti la sua proposta, come aveva auspicato la minoranza, ma va avanti per la sua strada. E difende l’Italicum 2.0 che ha plasmato negli ultimi giorni di incontri con la maggioranza e con Berlusconi:

“Questo modello permette a qualcuno di decidere. Senza la decisione non c’è democrazia politica, diventa il bar dello sport e così si perde la credibilità e la stima dei cittadini”.