E se l’immunità fosse una riforma? Dopo Scalfaro arriva Magistratura democratica

Pubblicato il 18 Gennaio 2010 - 16:16| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Se dici “immunità parlamentare”, la “gente”, anche quella che vota a destra, storce la bocca. Immunità per i parlamentari è idea altamente impopolare, anche tra coloro che credono Berlusconi sia vittima di “accanimento e persecuzione giudiziaria”. Immunità per gli eletti è sinonimo di privilegio di “casta” in tutti i segmenti di pubblica opinione, quelli che si fidano solo di Santoro, Travaglio e Di Pietro, quelli che orecchiano Beppe Grillo, quelli che ascoltano Gasparri e Cicchitto e Capezzone, quelli che votano Bersani e Casini. Eppure proprio l’immunità parlamentare, rivista e corretta rispetto a quella che c’era prima che fosse abolita, può essere una soluzione razionale e perfino “giusta” della guerra di potere tra politica e magistratura che si combatte in Italia da quasi venti anni.

I primi a sussurrarlo in una proposta di legge sono stati due figli d’arte, i parlamentari Chiaromonte e Compagna, l’una del Pd, l’altro del Pdl, figli di parlamentari del Pci e del Pri. Hanno proposto, nero su bianco in Parlamento, che il magistrato possa indagare su un parlamentare senza dover chiedere il permesso, “l’autorizzazione a procedere” alle Camere come avveniva quando c’era la vecchia immunità. Concluse le indagini, il magistrato deve però chiedere alle Camere il via libera al rinvio a giudizio. Le Camere possono negarla, è questa la nuova immunità. Meccanismo legislativo che avrebbe due vantaggi.

Il primo: obbligare il magistrato a presentare alle Camere richiesta di rinvio a giudizio solo se corredata da corposo e concreto “fascicolo di indagine”. Altrimenti un’indagine esile quanto a prove e riscontri squalificherebbe il magistrato stesso. Insomma una prudenza a rivolgersi alle Camere indotta non solo a parole ma anche per legge, evitando che un semplice avviso di garanzia, più o meno seriamente emesso come “atto dovuto” stronchi un’immagine politica e tenga sotto ricatto un politico.

Secondo vantaggio: di fronte a un “fascicolo di indagine” corposo e concreto, le Camere avrebbero difficoltà a negare sempre e comunque l’autorizzazione al rinvio a giudizio. Dovrebbero risponderne all’opinione pubblica e questo incrinerebbe l’automatismo di casta per cui al magistrato si dice sempre di no. In ogni caso, scaduto il mandato parlamentare, anche la nuova immunità decadrebbe.

 

Il procuratore Vittorio Borraccetti

 

Dopo Chiaromonte e Compagna, è arrivata un’intervista di Oscar Luigi Scalfaro. Ex presidente della Repubblica ma soprattutto “padre nobile”  dell’opposizione a Berlusconi in nome della legalità. Nell’intervista Scalfaro diceva che a certe condizioni, molto simili a quelle della proposta di legge di Chiaromonte e Compagna, la nuova immunità non è scandalo o bestemmia. Terzo, ma non ultimo, è arrivato Vittorio Borraccetti.

Borraccetti, Procuratore della Repubblica di Venezia e anche lui figura rispettata e carismatica di Magistratura Democratica, l’organizzazione dei magistrati più gelosa custode del nessun privilegio ai politici. “Immunità, sì, con le dovute accortezze. Se c’era nella Costituzione originaria significa che un punto di equilibrio era previsto anche agli albori della Repubblica…Si potrebbe tornare a qualcosa che somigli al disegno dei costituenti…Nel mondo ideale l’autorizzazione a procedere non è una bella cosa, ma il mondo ideale non esiste e siamo impantanati in un conflitto che genera situazioni sempre più negative…”.

Se la domanda era: chi glielo dice ai magistrati che l’immunità può essere una soluzione, la risposta è già arrivata, glielo ha detto Borraccetti. E dopo Borraccetti è venuto Nello Rossi, Procuratore aggiunto di Roma, anche lui di Md, anche lui autore di un’intervista in cui non boccia come malefica l’idea berlusconiana per cui, in caso di assoluzione in primo grado dell’imputato, non c’è processo di appello.

Restano domande più grandi. Chi glielo dice a Berlusconi? Perchè il premier ha bisogno e voglia, oggi e subito, di leggi che facciano svanire i suoi processi in corso. L’immunità, se arriva, arriva domani. E per lui domani è troppo tardi. Non solo, l’immunità votata da tutti o quasi ha come condizione la rinuncia alle leggi che l’opposizione definisce “ad personam” e il premier battezza “ad libertatem”.

E chi glielo dice a Di Pietro? Di Pietro che probabilmente griderebbe al “golpe inciuciato”. E, soprattutto, chi glielo dice alla “gente”? Gente di ogni voto e idea, pronta a negare ai politici tutto, figurarsi l’immunità, salvo poi ritrovarsi con una impunità di fatto per gli eletti. A proposito, dal Pd arriva un’altra condizione alla nuova immunità: che sia effettivamente per gli eletti. Eletti e non nominati dai partiti come avviene con la legge elettorale vigente. Dunque, il Pd vuole un ticket: immunità e nuova legge elettorale. Ma il Pdl, che l’immunità pur la vuole, di una nuova legge elettorale diffida, potrebbe rimetterci qualcosa.

Tirando le somme, questa nuova immunità parlamentare somiglia pericolosamente ad una riforma. E, come tutte le riforme vere e non solo declamate, in Italia soffre di scarso consenso popolare e mette in sospetto i partiti, tutti più o meno impegnati a domandarsi non se convenga ma a chiedersi: “Sì, va bene, ma io che ci guadagno”?