“Scioglimento delle Camere: quando Fassino la pensava come Berlusconi”. Una lettera di Cicchitto al Corriere della Sera

Pubblicato il 24 Agosto 2010 - 11:24 OLTRE 6 MESI FA

Fabrizio Cicchitto

A chi spetta il potere di sciogliere le Camere? La Costituzione non ammette incertezze: si tratta di una prerogativa esclusiva del Presidente della Repubblica che ha il dovere di verificare se in Parlamento ci siano i numeri per formare maggioranze alternative a quelle uscite dalle urne. No, le cose non stanno esattamente così, ribattono i propugnatori della “costituzione materiale”. Secondo questi ultimi, gli articoli 88 e 89 della Costituzione sono sufficientemente elastici per assegnare la responsabilità politica dello scioglimento al Presidente della Repubblica, o ai partiti o al capo dell’esecutivo, a seconda del momento storico, per “allineare la sostanza alla forma prevalsa”. Insomma: fino a quando il nome del candidato premier non è stato inserito nella scheda elettorale, a contare era soprattutto il parere delle segreterie di partito. Viceversa, oggi, la novità introdotta cambia le carte in tavola e non si può far finta di niente.

E’ la tesi riproposta dal capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, che insieme al collega di partito Calderisi, ha scritto una lettera al Corriere della Sera soprattutto per polemizzare con quanti dell’opposizione fanno finta di non ricordare che nel 2006 la pensavano allo stesso modo, salvo rimangiarsi tutto  – sostengono gli estensori della lettera – con l’unico motivo di far cadere un governo che non gli piace. E’ Piero Fassino, allora segretario dei Ds prima della fusione “democratica”, il destinatario della missiva. E viene citata, come prova dello strumentale voltafaccia, un’intervista al Foglio del 6 maggio del 2006, in cui Fassino perorava la causa di D’Alema presidente della Repubblica. Per cercare i voti degli avversari il segretario proponeva nientemeno che la deposizione delle armi, la fine della guerra con Berlusconi e il Pdl. In cambio D’Alema avrebbe svolto il suo ruolo come “presidente di garanzia”, che si sarebbe impegnato formalmente a non avallare in Parlamento la formazione di governi diversi da quelli indicati dalle elezioni politiche. Un altro Scalfaro, per capirci, non avrebbe sponsorizzato ribaltoni di alcun tipo.

Il problema esiste e la stessa preoccupazione fu sottolineata anche dal relatore del governo Cesare Salvi ai tempi della Bicamerale: “”Noi non abbiamo normato in Costituzione il potere di scioglimento, questo è il punto”. Si tratta evidentemente di una difficile questione interpretativa, dalla quale, è ovvio, non possono prescindere preoccupazioni di ordine eminentemente politico. Se non è campata in aria l’accusa di strumentalità nella diversa posizione assunta nel tempo da Fassino, non si può negare che è a questo Presidente del Consiglio che non si vuole affidare un potere assoluto. Non si possono, cioè dimenticare, il gigantesco conflitto d’interessi, l’elezione dei parlamentari per nomina grazie a una legge elettorale unanimemente definita una “porcata” ecc. E non si può dimenticare che fino a quando certe prerogative ce l’ha, il Presidente della Repubblica le esercita. E dargli del traditore, come pure è stato fatto, non è uno sgarbo istituzionale, è un affronto.