Garimberti, presidente della Rai, scopre di non contare nulla e si arrende

Pubblicato il 23 Febbraio 2010 - 21:08 OLTRE 6 MESI FA

Se avesse fatto meglio i compiti delle vacanze, Paolo Garimberti, presidente della Rai, non farebbe ora la figura di Alice nel paese delle meraviglie. Ha detto Garimberti all’Ansa: «Quando sono stato nominato, un anno fa, sono stato definito un presidente di garanzia. Ma nell’attuale sistema il presidente di garanzia può sol esercitare forme di ‘moral suasion’ nei confronti del direttore generale, non ha sostanziale potere di intervento. L’esercizio della funzione di garanzia non è previsto da alcuna norma specifica».

Certo, Garimberti riconosce che esistono programmi faziosi, ma lui non ci può fare nulla, perché gli manca la possibilità di intervenire direttamente: anche se ritiene che complessivamente «ci sia un equilibrio, considerando Raiuno, Raidue e Raitre», tuttavia  «qualche volta a casa scoppio di bile, perché non mi piace la faziosità di un certo modo di fare televisione, forse perché non è nel mio dna di giornalista. Ma non posso intervenire, bensì solo sollecitare un intervento del direttore generale. Non sto a dirvi quante lettere scrivo e quante volte telefono, dicendo ‘cosi’ non va bene. Ma un vero potere sanzionatorio non c’è. E qualora anche venisse esercitato come dovrebbe, vedreste i lai che si solleverebbero. A gridare come i lupi contro la Rai sono buoni tutti , ma bisogna saperla capire e fare. Esserci dentro è un’altra cosa».

Se qualcosa a suo giudizio non va, nota il diligente redattore dell’Ansa, il presidente può solo «segnalarla al dg: ogni giorno scrivo lettere, ‘caro direttore, ti segnalo che…, tuo Garimberti’». Il quadro, naturalmente, «si complica ulteriormente quando si toccano le nomine», perché in quel caso anche il direttore generale può fare ben poco: la lista gliela dà direttamente il padrone, che è il capo del partito di maggioranza relativa che guida il governo.

Berlusconi è il padrone della Rai ma Garimberti dice che non se ne era accorto

Oggi è Silvio Berlusconi, nella cui abitazione romana è stata decisa la tornata di nomine in Rai conclusa nell’autunno del 2009 dopo la definizione degli assetti nel Pd. Ma è sempre stato così. In passato, i conformisti, quella volta di sinistra, se la presero con Bruno Vespa perché disse che lui conosceva solo l’autorità del suo “azionista di riferimento”, che all’epoca era la Democrazia cristiana. Gliene dissero di tutti i colori, mentre aveva pienamente ragione.

Niente di male che la Rai sia lottizzata, perché così garantisce tutti gli elettori, facendo sì che le correnti d’opinione principali nel paese siano riflesse, in proporzione ai voti ricevuti, nella tv di Stato. Anche Berlusconi, per quanto lo si possa sospettare di tentazioni autoritarie, ha rispettato la regola non scritta che vuole due di tutto (reti, tg, ecc.) alla maggioranza e il terzo restante all’opposizione.

Sono cose, queste, note non solo a tutti quelli che lavorano in Rai, ma anche ai loro figli poppanti. Bastava leggere i giornali. Garimberti poi ha un’età che gli dovrebbe avere consentito di seguire l’evoluzione della Rai dal monocolore democristiano di quando andava alle medie, all’apertura ai socialisti del liceo, all’arco costituzionale che portò lo stesso Garimberti a dirigere un Tg (all’epoca in cui, per contrasto, il povero Vespa veniva evitato come un lebbroso) fino alla presunta seconda Repubblica, in cui l’arco costituzionale è crollato, gli ex topi fascisti sono corteggiati da molti di quelli che un volta li volevano nelle fogne e Berlusconi ha coronato il sogno di subordinare interamente la Rai agli interessi delle sue tre reti, imponendo il tragico digitale terrestre che è la condizione di sopravvivenza di Retequattro.

Scoprire solo ora, dopo tanto tempo, tutto questo, non depone a favore di Garimberti, il quale, non contento, ha scaricato un altro pezzo di responsabilità, quella politica, sulla commissione parlamentare di vigilanza: «Oggi se la devono cavare loro. Noi abbiamo già detto cosa facciamo: applichiamo leggi e regolamenti».

La vigilanza Rai è guidata da Sergio Zavoli, altro grande navigatore del sistema radiotelevisivo italiane, dai tempi delle radiocronache dal Giro d’Italia fino alle burbanzose quanto inutili prese di posizione nell’ultimo ruolo parlamentare.

Ancora Garimberti. Le norme di recente emanazione in materi di talk show li ‘ingessano’: «Il conduttore deve essere libero di scegliere l’argomento che vuole trattare e gli ospiti: la libertà del giornalista è tutelata in tutti i servizi pubblici del mondo. È chiaro, in certi periodi bisogna rispettare certe regole. Ma se applichiamo il regolamento che porta il nome di Beltrandi così come è stato varato, non potremo più fare un certo tipo di informazione».

Garimberti si è soffermato, in particolare, sulle obiezioni di carattere giuridico a una norma che rischia di violare quanto stabilito anche da una sentenza della Corte Costituzionale, che ha ribadito la distinzione tra comunicazione politica e informazione: «Lascio da parte il danno economico per la Rai, che pure esiste, e le difficoltà di rifare il palinsesto, perché si tratta di questioni superabili. Ma il problema vero che mi pongo è questo: tutto ciò è democrazia? È pluralismo? La risposta mi pare che sia no».

Però, attenzione, non è che Garimberti sia un kamikaze, forse, a pensarci bene, non ha nemmeno la vocazione dell’eroe e così al capogruppo del Pd in Vigilanza, Fabrizio Morri, altro genio, che ha invitato i vertici della Rai a «gesti clamorosì” per manifestare il dissenso contro il regolamento sulla par condicio, Garimberti ha risposto: «Certo, potrei incatenarmi al cavallo di viale Mazzini, ma devo agire d’accordo con il cda. Penso che la risposta come Rai l’abbiamo già data: il consiglio di amministrazione per due volte mi ha affidato il mandato unanime a rappresentare il disagio, per dirla in maniera morbida, che l’azienda prova di fronte a certe norme. In particolare, sul piano giuridico abbiamo sottolineato le nostre obiezioni basate sulla sentenza con cui al Consulta nel 2002 ha interpretato un articolo della stessa legge 28 sulla par condicio. Lo stesso presidente dell’Agcom, Calabrò, ha espresso in maniera netta i suoi dubbi sulla possibile non aderenza del regolamento alla normativa vigente: mi pare che si tratti di una posizione molto significativa».

Conclusione di Garimberti: «O si cambia o il destino della Rai è segnato». L’azienda rischia «il soffocamento, la morte per asfissia dopo lunga e dolorosa agonia».

Tre i “lacci” stretti al collo della tv pubblica: «La mancanza di risorse certe, una natura giuridica che non le consente di stare sul mercato e una non risolta questione della governance». Alla Rai deve essere lasciata la «libertà di gestire la sua sfera imprenditoriale: l’imposizione dei quadri dirigenti dall’esterno è mortifera», ha detto, dimenticando come anche lui è stato messo lì. «Ma se lottizzazione deve essere, che sia scientifica» e si addentrato in un terreno in cui uno come lui, che certo non è stato scelto in una rosa di nomi preparata da qualche “cacciatore di teste”, come ora lui vorrebbe fare per gli altri, avrebbe fatto meglio a non infilarsi.