Moratti-Pisapia. Da D’Alema a Fini, tutti gli “estremisti” di governo

di Dini Casali
Pubblicato il 13 Maggio 2011 - 14:59 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – A proposito dell’accusa della Moratti a Pisapia (estremista era, estremista rimane) è utile l’elenco stilato da Luca Telese sul Fatto Quotidiano, obbligatoriamente limitato e parziale, dei numerosissimi personaggi in vista, di sinistra come di destra, con un passato diciamo così, barricadero. C’è un po’ di tutto ovviamente. Sembra quasi che il requisito minimo per appartenere alla classe dirigente politica italiana sia aver menato un po’ le mani da giovani. Fa curriculum. Gli anni erano di piombo, ma il recinto extraparlamentare doveva apparire un luogo accogliente e molto ben frequentato. Nonostante la violenza settaria. O forse a causa. Comunque, per un Massimo D’Alema che ricorda ancora i tempi in cui lanciò una molotov a Pisa, c’è un Gianfranco Fini che esibisce come una medaglia il ginocchio ferito da un candelotto della Polizia. Fabrizio Cicchitto solo fino a tre anni fa si vantava ancora di essere “uno di quelli che faceva a botte con i fascisti”. Il verde Pierpaolo Cento invece menava per davvero.

Che dire di Ignazio La Russa, un “moderato” perennemente sopra le righe? Va bè, che fosse fascista lo sanno anche i sassi, che girasse per Piazza San Babila con un cane lupo anche. Ma che fosse stato imposto dirigente del Msi a Milano in una mitica riunione finita a sediate lo ricordano in pochi (a parte Tommaso Staiti di Cuddia, promotore pentito di Ignazio). L’ex legale del premier, deputato Pdl e coscienza giuridica anti-giudici, Gaetano Pecorella, ancora nel 1987, vent’anni dopo il ’68, sosteneva che “l’applicazione di un principio costituzionale a colpi di Hazet 37 (chiave inglese) è perfettamente legittimo”. Nicolò Ghedini, l’imperturbabile avvocato del momento, fu sentito come testimone al primo processo per la strage di Bologna: frequentava vari tipacci conosciuti al circolo del Fronte della Gioventù di Padova tra il ’76 e il ’77.

Giorgio Clelio Straquadanio, che lo stesso Telese giudica una “persona squisita” è tuttora orgoglioso dell’amicizia di un appartenente al famigerato Servizio d’Ordine che sprangò a morte il missino Sergio Ramelli. Gli spaccarono la testa e “frammenti di materia cerebrale si sparsero sul marciapiede”. Davvero squisito, il dettaglio pulp. Gad Lerner, viceversa, è ancora commosso dall’amico fraterno che per senso di colpa sempre per l’omicidio di Ramelli, la fece finita “infilando la testa dentro al forno”. Di nuovo flash-back pulp.

Più sorprendente, dato l’aplomb e l’understatement very british, è sapere che anche il mite Frattini se la vide brutta mentre distribuiva copie del Manifesto. Di Alemanno, Sofri e altri abbiamo già saputo tutto fino allo sfinimento. Ma si potrebbe continuare all’infinito. Senza spulciare gli archivi: il richiamo agli anni felici dei capelli lunghi e delle P38 è una sirena irresistibile. Seconda solo all’impulso di parlarne continuamente.

A conti fatti non si può nemmeno agevolmente sostenere che la Moratti faccia un “uso grottesco della storia” ignorando il contesto per biechi motivi elettorali, come fa Telese. E’ una mezza verità, approssimata per difetto: quella storia non passa mai, non muore. E se di contesto si vuol parlare, questo funziona unicamente come parodia: il simulacro, la verità immaginaria di un potere enigmatico ed inafferrabile lucidamente evocato da Sciascia.

L ‘Angelo della Storia secondo Walter Benjamin procede innanzi, ma il suo viso volge ostinatamente lo sguardo indietro. Il passato (rovine, morti e altri disastri) lo trattiene, ma la tempesta lo conduce irrevocabilmente nella direzione opposta. Il diavolo della storia italiano guarda sempre avanti, magnifico e progressivo, ma avanza impettito sempre a marcia indietro.