Vendola ed Ed: “Scappati in Canada per difendere nostro figlio”

Pubblicato il 16 Giugno 2016 - 11:14 OLTRE 6 MESI FA
Vendola ed Ed: "Scappati in Canada per difendere nostro figlio"

Vendola ed Ed: “Scappati in Canada per difendere nostro figlio”

ROMA – Vendola ed Ed: “Scappati in Canada per difendere nostro figlio”. Nichi Vendola ed il compagno Ed hanno aperto, per la prima volta, la loro casa di Montreal a Francesco Merlo, editorialista di Repubblica: qui si sono rifugiati per crescere in santa pace e al riparo delle polemiche italiane il figlio Tobia, avuto grazie alla gravidanza portata avanti da una donatrice. La pratica, gravidanza per altri si chiama, non è legale in Italia dove si preferisce utilizzare l’espressione utero in affitto. Con la complicazione che Tobia è figlio di due padri. Utero in affitto, genitorialità di coppia omosessuale, troppo per l’Italia.

Proprio da questo sentire e dall’ostilità raccolta ad ogni livello in Italia, Vendola e il compagno sono scappati, confessano a Merlo. All’anagrafe californiana (è nato a Sacramento) Tobia si chiama Testa, come Ed, che ufficialmente è il padre putativo, e può contare su tre passaporti (è americano, Ed è canadese e italiano). La scelta della casetta in Canada in un quartiere tranquillo di Montreal è stata dettata, nonostante la storia e l’intensa carriera politica di Vendola, unicamente per motivi familiari: “Noi non vogliamo fare i testimonial di una battaglia di civiltà ma soltanto poter vivere in pace”.

Lo porterai in Italia? “Sì, verremo prima della fine del mese. Ma non permetterò che il mondo gli diventi ostile appena tenterà di entrarvi”. Scappato da Terlizzi ti sei rifugiato qui in Canada, nella patria dei diritti. “Ammetto che non c’è niente di simile nel vecchio comunismo. Ma io mi sono battuto per i diritti civili per tutta la vita e ho vissuto sulla mia pelle la vergogna per gli insulti sulla mia sessualità” […]

“Ho comprato casa a Terlizzi, a duecento metri dal luogo dove nacque mia madre, conosco tutti e tutti mi vogliono bene. A Roma abbiamo un piccolissimo appartamento in centro. Ma non permetteremo che il corpo di nostro figlio diventi una bandiera dei diritti civili”. Meglio la fuga? “Meglio tornare a ottomila chilometri dall’Italia in questa casetta piccolina in Canadà che è piena di grazia italiana” […]

Ed e Nichi chiamano zia la Donatrice; e “la nostra Grande Madre” è la Portatrice. Mi mostrano foto e video della loro strana famiglia. “Dimmi se queste non sono immagini benedette dalla grazia”. Vedo carezze, abbracci, risate, tanti piccoli e banali gesti romantici. E intanto, accanto a me, Nichi tende Tobia a Ed che allunga subito le braccia.

“A Sacramento abbiamo trascorso la più lunga attesa della nostra vita in casa di una coppia gay che ci ha ospitato senza neppure conoscerci. Si chiamano entrambi Bill, hanno più di 60 anni, stanno insieme da quando erano ragazzi, e ci hanno offerto ospitalità per solidarietà allegra e naturale, come se fossimo amici di vecchia data. Pensa cos’è questo nostro mondo: ci hanno fatto trovare anche una culla e un fasciatoio ” […] (Francesco Merlo, La Repubblica)