Roma capitale: Ernesto Nathan tra Mazzini e il Vittoriano

Pubblicato il 10 Gennaio 2012 - 22:38 OLTRE 6 MESI FA

Ernesto Nathan nacque a Londra nel1845 e morì a Roma nel 1921 e fu  sindaco di Roma dal novembre 1907 al dicembre 1913. Ebreo di origine inglese, cosmopolita, repubblicano-mazziniano, massone dal 1887, laico e anticlericale, Ernesto Nathan, si legge su wikipedia, fu il primo sindaco di Roma estraneo alla classe di proprietari terrieri (nobili e non) che aveva governato la città fino al 1907, anche dopo l’unità d’Italia.

Sua madre, Sara Levi, fu per anni compagna di Giuseppe Mazzini, che nella casa dei Nathan a Pisa morì nel  1872. C’è anche chi ha scritto che in realtà Ernesto sarebbe stato figlio di Mazzini, ma probabilmente si trattò di chiacchiere malevolenti dell’ambiente dei fuorusciti a Londra.

Nathan fu Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1896 al 1904 e dal 1917 al 1919.

 

Nathan fu protagonista di  un programma urbanistico rinnovatore di Roma, che ci lasciò il Vittoriano, il Palazzo di Giustizia – che i romani battezzano subito il “palazzaccio” -, la passeggiata archeologica (un grande comprensorio di verde pubblico, oltre 40.000 metri quadrati tra l’Aventino e il Celio) e lo stadio Nazionale, l’attuale Flaminio, il primo impianto moderno per manifestazioni sportive.”

Sotto di lui si svilppò anche il quartiere di Prati. Non sembra un caso che l’anticlericale Nathan tracciasse la via Cola di Rienzo, una delle arterie principali della capitale, in modo che finisse contro le mura del Vaticano, proprio per sottolineare l’impossibilità di dialogo tra la nuova Italia e la Chiesa. La sua memoria fu poi tradita da Mussolini e poi da Craxi e  anche dal piduista Berlusconi.

Un episodio curioso di Nathan sindaco, racconta Wikipedia, fu quando cancellò la voce dal bilancio comunale la voce che prevedeva un finanziamento per nutrire i gatti che dovevano proteggere dai topi i documenti conservati nell’archivio del Campidoglio. Nathan spiegò che d’allora in avanti i gatti del Campidoglio avrebbero dovuto sfamarsi con i roditori che avevano lo scopo di catturare e, che nel caso di topi non dovessero trovarne, sarebbe venuto a cessare anche lo scopo della loro presenza. Da questo episodio deriverebbe il detto romanesco “Nun c’è trippa pe’ gatti”.