Varese, nord. Il Pd di Bersani riparte inseguendo la Lega. E scappando da Vendola?

Pubblicato il 8 Ottobre 2010 - 20:37 OLTRE 6 MESI FA

Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni

Il Pd prova a ricominciare da Varese, profondo Nord, città dove alle ultime provinciali, ha raccolto il 22%. Varese, quindi, come simbolo di un nord dove la proposta politica dei democratici non ha mai attecchito. Il Pd vuole “riprendersi” l’Italia partendo dai luoghi dove Pdl e Lega sono più forti e partendo da proposte che vorrebbe concrete. Fisco, politiche industriali, partita Iva e famiglie, federalismo: sono questi i temi in agenda all’assemblea nazionale. Su ognuno di questi punti il partito di Pier Luigi Bersani punta a formulare e diffondere una proposta alternativa a quella del governo. Cose in teoria concrete ma che, in realtà rischiano di ridursi a meri esercizi intellettuali. Al governo c’è Berlusconi, almeno per ora, e non sembra un presidente del Consiglio particolarmente propenso a raccogliere suggerimenti dell’opposizione su temi di questa portata.

Più che le proposte, però, il vero motivo di interesse dell’assemblea sta dentro il Pd: tra Bersani e Walter Veltroni, dopo lo strappo e il documento dell’ex segretario l’aria che tira è quella di una tregua armata. Tregua che, almeno per quanto ha detto nel suo intervento odierno, Veltroni non ha dato impressione di voler infrangere.

“Per giorni migliori rimbocchiamoci le maniche” è lo slogan che campeggia sul podio dove si susseguono in carrellata i pezzi grossi del Partito. Mentre Berlusconi promette da tre lustri sogni e tasse in picchiata, insomma, i democratici tolgono anche il sogno ai loro potenziali elettori e continuano a propinare imperterriti la ricetta di sangue e sudore. Ricetta che non premia, visti i sondaggi che li danno sotto la soglia del 26%. Ad aprire i lavori ci ha pensato Rosy Bindi che, però, più che di proposte concrete ha parlato di Berlusconi. “Si sta chiudendo l’era del Cavaliere trionfante – ha detto la Bindi – e spetta a noi dare ossigeno al Paese”. La fine di questa era, secondo la Bindi, si è vista in estate ”con le risse, le contumelie e lo squallido dossieraggio”, e poi a settembre con ”il mercimonio di parlamentari”. Il passaggio parlamentare del governo la scorsa settimana ha però dimostrato che l’agonia del centrodestra è destinata a durare: ”Berlusconi ha fatto proprio il motto ‘meglio tirare a campare che tirare le cuoia’ (inventato a suo tempo da Andreotti ndr); e questi sono i momenti più pericolosi”.

Dopo la Bindi sul palco c’è salito Enrico Letta che, parlando sempre di Berlusconi ha lanciato un appello al potenziale “terzo polo”: “Siamo a Varese – ha detto il vicesegretario del Pd – ma io vi porto a Catalafimi, visto che siamo in tema di unità d’Italia. Lì fu combattuta una battaglia fondamentale. Parafrasando oggi un celebre motto potremmo dire ‘qui o si batte Berlusconi o si muore’. Attenzione – ha detto poi tra gli applausi – e lo dico agli amici del Terzo Polo: non ci sono tempi supplementari, non ci sono Senati in bilico. Se si perde, si perde tutto. Se vincono si prendono tutto, a cominciare dal successore di Giorgio Napolitano, e poi cambieranno la Costituzione”. Quindi Letta si è lanciato in un futuribile scenario di governo istituzionale e ha spiegato: “Dopo anni di becero berlusconismo pensate che bello se il capo del governo istituzionale che formeremo fosse una donna”. Condivisibile. Peccato che il Pd non abbia pensato la stessa cosa quando si trattava di decidere doveva guidare il partito.

Quindi, l’intervento più atteso della giornata, quello di Veltroni. Chi si aspettava stilettate contro Bersani sarà rimasto deluso. L’ex segretario ha invece chiamato tutto il Pd a ”lavorare e combattere insieme” per proporre al Paese una soluzione che lo porti ad uscire ”fuori dal tunnel” in cui si trova. Una cosa che si può fare, secondo Veltroni, solo lanciando ”un cambiamento profondo e radicale”, ”una rivoluzione democratica”. L’ex segretario ha anche invitato il Pd a scegliere cinque priorità, cinque grandi idee su cui ”aprire una stagione di innovazione profonda”. ”Dobbiamo farlo insieme – ha proseguito – perché siamo un partito grande e plurale, in cui si discute di politica e poi si lavora e si combatte insieme. Noi abbiamo una missione storica – ha concluso – e cioè portare l’Italia troppo lungo. Solo noi possiamo farlo, perché non lo può fare né Beppe Grillo né una nuova edizione della destra”.

A Varese, insomma, è tempo di proposte. Il Pd sembra prenderla un po’ alla lontana e, per ora, la questione alleanze rimane “strategicamente” fuori dal dibattito. Forse il nodo sarà sciolto da Bersani, chiamato a spiegare una volta per tutte cos’è il nuovo Ulivo che ha in mente e quale sarebbe l’elemento di novità. Di certo in un partito dove c’è chi vorrebbe allearsi con Casini, chi chiama Montezemolo, chi ammicca a Vendola e chi addirittura sogna un asse elettorale con Fini pensare a un sistema organico di alleanze è un’impresa titanica. A volerla vedere con un minimo di malizia geografica il Pd fa l’esatto opposto del percorso pensato da Nichi Vendola. L’offensiva dell’aspirante leader del centrosinistra parte dalla Puglia, dal profondo sud. Il Pd prova a rialzarsi partendo dal Nord. Si incontreranno a Roma?