Wikileaks. Calipari tradito da Sheik Husain, capo della cellula di Al Qaeda a Bagdad: fu un errore fidarsi di lui?

Pubblicato il 24 Ottobre 2010 - 12:54 OLTRE 6 MESI FA

Nicola Calipari

Tra gli oltre 400 mila file rivelati da Wikileaks disponibili online, è spuntato quello relativo alla morte del funzionario dell’intelligence italiana Nicola Calipari, ucciso mentre in auto riportava in salvo la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, rapita dall’organizzazione della Jihad islamica.

Dopo un mare di dubbi, mezze verità, richieste di giustizia finite nel dimenticatoio, grazie a Wikileaks ora è possibile sapere cosa accadde in quel 4 marzo 2005.

I dettagli sono emersi dall’interrogatorio di Sheik Husain, «ex leader della cellula di Baghdad di Al Qaeda e capo di una oranizzazione terroristica specializzata in sequestri nella capitale irachena”. In pratica, Husain avrebbe rivelato ai servizi segreti della Giordania che per la liberazione di Giuliana Sgrena sarebbe stato corrisposto un riscatto pari a 500 mila dollari.

Una volta riscosso il denaro, Husain avrebbe telefonato al ministero dell’Interno iracheno sostenendo che l’automobile diretta all’aeroporto di Bagdad, con a bordo Giuliana Sgrena, Nicola Calipari e l’autista Andrea Carpani, era imbottita di esplosivo. Il ministero informò gli americani.

Il resto è storia nota: una volta giunta in prossimità del check point americano, l’automobile con a bordo i tre italiani fu accolta da una sventagliata di proiettili, di cui uno centrò Nicola Calipari in testa, uccidendolo. Gli americani spararono quindi senza esitazione perché sapevano che quell’auto era piena di esplosivo, pronta a scoppiare generando morte e distruzione?

Ma perchè Husain avrebbe telefonato al ministero dell’interno provocando indirettamente la morte di Calipari? Wikileaks non sa rispondere.

«Ho anche scritto una lettera al segretario di Stato Hillary Clinton per chiedere che cambiasse l’atteggiamento degli Usa sulla vicenda dopo l’elezione di Obama. – ha dichiarato Giuliana Sgrena – ma quello che dispiace è come l’Italia abbia trattato Nicola Calipari, tornato in una bara e subito dimenticato».

Giuliana Sgrena ha rilevato che mancano tasselli importanti nella ricostruzione di Wikileaks. “Ci sono degli elementi che contribuiscono alla ricerca della verità per quanto successo, ma sicuramente non c’è tutto, c’è solo una parte”, ha dichiarato a CNRmedia.

“Intanto la macchina cui si fa riferimento non era quella sulla quale viaggiavamo, ma ancora più importanti sono altri elementi che non vengono raccontati, ovvero il fatto che ci furono dei tentativi per depistare Calipari prima di arrivare al mio ritrovamento. Calipari mi trovò solo in un secondo momento, sviato nelle sue ricerche da diversi servizi segreti”.

Per la Sgrena “gli Stati Uniti in tutta questa vicenda non hanno mai collaborato” e Calipari è stato “dimenticato in fretta” anche in Italia. “Rinunciando a imporre la propria giurisdizione per fare un processo dove almeno si poteva cercare la verità per la morte di quello che era il numero due della nostra intelligence, l’Italia ha perso la propria dignità”, ha detto la giornalista.

La Sgrena però è troppo parte in causa (fosse stata più accorta e prudente non si sarebbe infilata nel guaio costato poi la vita all’innocente poliziotto) per  vedere con distacco la vicenda. Già il fatto che promuova Calipari a numero due dell’intelligence italiana è un sintomo. Il suo sentimento anti americano poi trova radici anche nella sua collocazione politica di partenza, quella del Manifesto.

Probabilmente in realtà ha fatto più comodo a tutti chiudere la storia di Calipari con la medaglia dell’eroe, che se non altro è valsa alla vedova, Rosa Villecco, una poltrona da deputato del Pd (certo, sempre meglio una vedova di guerra che una ex soubrette, ma sempre di stato sociale si tratta) e senza approfondire  ulteriormente la vicenda, in uno scambio di accuse tra destra al governo e sinistra ben sapendo tutti che gli americani, a differenza di noi, mai avrebbero abbandonato ad altri un loro uomo (precedenti numerosi, con il culmine di non avere accettato gli americani di firmare, quasi unici al mondo, l’accordo mondiale sui crimini di guerra).

Chi ha letto un p o’ di Le Carré sa che la gente dei servizi segreti non ama discutere in pubblico le sue cose e in questo è più che naturale che gli italiani non siano da meno. Così partiti e giornali si sono accodati. Però uno non può non essersi chiesto perché Calipari, se era un uomo di esperienza come ci hanno detto (numero due dice la Sgrena), si è buttato sulla strada dell’aeroporto, di notte, a fari accesi o spenti poco importa, senza avvisare gli americani. Ora Wikileaks svela che il povero Calipari fu mandato in una trappola dallo stesso rapitore della giornalista: peggio c’è da sentirsi, perché un uomo di esperienza avrebbe dovuto dubitare delle assicurazioni di un criminale: è un po’ come se uno di noi dopo essere stato rapinato per strada a Napoli, chiede al rapinatore la via più sicura per l’albergo.

Resta il fatto che nessuno ha spiegato la fretta e il silenzio con gli americani. Calipari poteva rifugiarsi in ambasciata e andare all’aeroporto alla luce del sole, ma forse la fretta, oltre che dal comprensibile desiderio di tornare presto  Roma per la gloria, era motivata, insieme col silenzio, anche dalla speranza di farla franca con gli americani, che, a differenza degli italiani e dei tedeschi, non hanno mai pagato riscatti, né in Iraq, né in Afghanistan, né con i pirati somali.

Pr una specie di legge del contrappasso militare, è successo agli stessi italiani, in un altro teatro di guerra, quello dell’Afghanistan, di fare a una innocente famiglia che si recava in auto a un matrimonio, quello che gli americani hanno fatto al nostro eroe. Ma quei poveretti erano afghani e nessuno ne ha più parlato, anche se c’è da sperare che il governo li abbia in qualche modo indennizzati della strage. C’è solo da rimarcare, a proposito del cielo dei caduti in guerra, che quelli erano dei poveri aghani diretti ai una festa nuziale che non si sono fermati all’alt di una nostra pattuglia: proprio come Calipari, ma lui era uno di carriera.