Cile: dopo 58 anni, con Pineda al potere una destra “morbida”

Pubblicato il 19 Gennaio 2010 - 10:39 OLTRE 6 MESI FA

La vittoria di Sebastian Pineda contro Euardo Frey jr, nelle elezioni cilene dell’ultimo week end, segna una svolta epocale nel paese sudamericano che da venti anni aveva già l’economia più pimpante e la stabilità politica più tranquilla, dopo decenni di vere e proprie tragedie.

Pineda è stato ricevuto dalla sua “predecessora” Michelle Bachelet, presidente della Concertation, l’alleanza di centro sinistra, (prima donna a governare democraticamente un paese in America Latina) con una cerimonia di passaggio di consegne sereno, quasi affettuoso. Una clima che l’America latina non conosceva.

La destra torna al potere dopo mezzo secolo, da quando a Santiago governava Jorge Alessandri, un liberale classico che aveva sconfitto nel 1958 il candidato socialista dal nome divenuto poi simbolicamente tragico, Salvador Allende. Ma tra Alessandri e Pineda il Cile, un paese ricco di risorse naturali (il rame sopratutto), è passato attraverso una rivoluzione socialista finita in tragedia e una dittatura militare di rara violenza, imposta dal generale Augusto Pinochet, che comandava un esercito abituato a marciare al passo dell’oca, costruito sui modelli tedeschi.

Tutta la campagna elettorale di Pineda contro Frei, figlio dell’altro Eduardo Frei, anche lui, come Allende, trucidato dai militari di Pinochet dopo avere governato il paese nelle fila della Dc, è stata una marcia per convincere il paese che la destra si era depurata dalle ombre inquietanti dei militari. Economicamente ripreso dalla catastrofe di un’econ0mia condotta con criteri marxisti, grazie ai consulenti yankee della scuola di Chicago, i famosi “Chicago boys”, il Cile ci ha messo di più a stabilizzarsi politicamente.

Ma dal 2000, primo anno di elezioni democratiche la marcia verso la normalizzazione è stata costante. Oggi svanita anche l’ombra di Pinochet, morto nel 2003, il Paese vive una contrapposizione bipolare moderata e senza estremismi, né da una parte né dall’altra, come se finalmente una pace duratura si fosse installata in quella lingua di terra, affacciata sul Mare Pacifico, dai ghiacci eterni del Polo Sud ai deserti aridissimi de la Serena: tremila chilometri per una profondida di non più di duecento chilometri con la catena delle Ande a protezione dal resto di un subcontinente in continua ebollizione.

Il successo di Pineda con il 51% contro Frey al 48 è stato salutato anche dagli sconfitti con uno stile e una partecipazione che non ha precedenti nè in Cile nè negli altri paesi sudamericani, dove la contrapposizione politica è sempre aspra, quando inesistente per la presenza di forme di dittatura, di caudillismo o di presunti presidenti liberatori.

Ancora oggi con Hugo Chavez che governa il Venezuela credendo di essere Simon Bolivar, con l’Argentina in mano alla coppia Cristina-Nestor Kirchner, esperta sopratutto in business personali, con il Paraguay in mano al presidente vescovo Ernesto Lugo dai figli naturali seminati in tutti i quartieri di Asuncion, con la Bolivia del contadino Evo Morales che impone la sua etnia alle altre.

La normalizzazione democratica cilena spicca e allontana gli spettri del golpe più sanguinoso consumato in quello che fino a qualche tempo fa era stato defino il “continente scomparso”. Come dire: scomparso dalle carte della democrazia.

Il golpe militare dell’11 settembre 1973 aveva insanguinato una tradizione democratica tra le più costanti dell’America latina,  macchiando di rosso perfino il fiume Mapocho che scorre in mezzo alla Capitale, Santiago e che si era colorato per gli eccidi che i generali di Pinochet aveva perpetrato, eliminando fisicamente una intera classe dirigente politica di sinistra in una sola notte, prima di bombardare il palazzo del Governo.

E’ riemerso il Brasile, un tempo definito il gendarme dell’America Latina, dove garantiva l’ ordine militare anche oltre i confini, con i primi squadroni della morte e oggi avviato a diventare democraticamente una superpotenza mondiale sotto la guida del sindacalista socialista Lula. Ora riemerge definitivamente il Cile, che ha la tradizione migliore di gestione dell’economia e che la dolce transizione tra centro sinistre e centro destra, tra Bachelet e Pineda, fa fiorire una nuova primavera.