Roma di vigilia per Papa Wojtyla, il clima di piombo di Varsavia anni ’70

Pubblicato il 1 Maggio 2011 - 10:19 OLTRE 6 MESI FA

Alla vigilia della cerimonia di beatificazione di Papa Wojtyla, chi si è trovato Roma a tarda sera e ha vissuto abbastanza da avere visto Varsavia o un’altra capitale dell’est europeo negli anni ’60 o ’70 ha avuto un balzo al cuore.

Non è stata un’impressione gioiosa di ritorno ad anni migliori, ma di un ritorno a un’epoca cupa, plumbea, che in Italia peraltro coincideva con i primi passi del terrorismo.

Significativa differenza, a dire il vero, era l’assenza di pattuglie di poliziotti pervasive e onnipresenti, arroganti e inquisitive.

C’era qualche pattuglia di carabinieri e di poliziotti di casa e la loro vista familiare, con quell’aria sempre un po’ degagée, come se non fossero ancora montati in servizio, ma stessero per, era rassicurante.

Per il resto, pura Varsavia in piena guerra fredda.

Difficile calcolare il danno recato alla città dalla massa di pellegrini e dall’eccessivo allarmismo delle autorità: se le strade erano deserte, i ristoranti e i bari erano vuoti, con l’eccezione di quelli in zona Vaticano, ma lì siamo quasi in territorio estero.

Roma era vuota di residenti: i residenti martedì – venerdì, politici e affini tornati alle loro basi; cittadini normali, rintanati in casa o rifugiati nei loro appartamentini al mare o ai monti, terrorizzati dalle notizie su Roma blindata impercorribile dalle auto: le strade del centro di Roma, le grandi arterie dei Lungotevere, che al sabato sera, a qualsiasi ora della notte e in qualsiasi stagione dell’anno sono un fiume in piena di auto, erano vuote e il pedone che a ogni ora del giorno rischia la vita per attraversarle poteva farlo impunemente; solo che invece di gioia provava una immensa malinconia.

In piazza del Pantheon, simbolo della fusion culturale e anche religiosa che sempre si è incrdinata in Roma, che si trasforma la sera in una specie di caravanserraglio di comitive festose, giovani ubriachi, giocolieri e mangiafuoco, sembrava calata la saracinesca del coprifuoco.

L’attraversavano cupi cortei di persone, guidate da bandiere polacche sventolate nella notte. Si vedevano donne in costume contadino, bandiere americane e australiane dei gruppi di emigranti polacchi. C’erano persino dei boy scout con quei berrettini tipici di un altro secolo, precedenti al comunismo ma che al comunismo, grande ibernatore di antichi costumi, sono evidentemente sopravvissuti.

Preti dappertutto.

Silenzio tombale: sembravano gruppi di fantasmi riemersi, in abiti più o meno di oggi, da catacombe scavate nella pancia del centro di Roma.

Ogni tanto una colonna di giovani cantava: ma erano rigorosamente canti religiosi.

C’erano anche molti giovani: nello sguardo di tante belle ragazze, un flash di curiosità e voglia di vivere ridava speranza che qualcosa sotto tutto quel grigiore crepitasse e che antiche memorie di amori pellegrini potessero reincarnarsi tra i sacchi a pelo in qualche dormitorio.