Facebook, la bacheca degli orrori: insulti Aldrovandi, “abortire bimbi gay”

Pubblicato il 27 Giugno 2012 - 14:26 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – E’ stata la giornata del disonore e del disgusto quella del 26 giugno per i milioni che leggono, postano, si aggiornano tutti i giorni su Facebook. Almeno fino a quando non sono stati rimossi gli insulti alla madre di Federico Aldrovandi, morto per le percosse della Polizia e il delirante post per cui “abortire un bimbo gay è un atto di fede”. Concomitanza  imprevista, coincidenza terribile che sia, occorre tornare non tanto sui dispositivi di censura, che più o meno tardi sono scattati, quanto sull’irresistibile richiamo del social network per folli accecati dall’odio, mitomani prostrati dal pregiudizio, militanti armati da false teorie. Sufficientemente lucidi, però, per maneggiare lo strumento tecnologico al punto di trasformare facebook nella discarica personale o collettiva dei propri risentimenti. Dietro il paravento dell’anonimato e la presunta irresponsabilità della macchina intanto la bacheca degli orrori è stipata all’inverosimile..

Per rimuovere gli insulti di Paolo Forlani, uno dei poliziotti condannati da un tribunale per aver concorso al pestaggio mortale di Aldrovandi, è dovuto intervenire il ministro dell’Interno Cancellieri. Un atto d’imperio, tardivo, perché non bisognava attendere la denuncia della madre. Provvedimenti disciplinari sono in arrivo, ma intanto lo sfregio di veder pubblicate frasi come “”faccia di c…”, “falsa ipocrita”, “spero che i soldi che ha avuto ingiustamente possa non goderseli come vorrebbe”, è sale sparso sul dolore di una madre cui hanno ammazzato il figlio proprio da chi di quell’omicidio è responsabile.

Nel caso delirante che mischia in un sol colpo omofobia, disprezzo delle donne, ignoranza sesquipedale che fa ritenere i feti con il cordone ombelicale attorcigliato intorno al collo geneticamente gay, per tutto questo può ritenersi sufficiente la censura di facebook che oscura post del genere? Secondo gli attivisti serve altro: loro faranno denuncia per istigazione all’odio e abuso della credulità. Dietro le farneticazioni si riconosce la mano di un troll, un personaggio virtuale dedito esclusivamente a provocazioni sterili e rabbiose. Anonimo nell’identità, ma ben conosciuto rispetto a mezzi ed obbiettivi.

Si può garantire la libertà d’espressione a una macchina? No, se non al prezzo di scaricare il “mandante” da qualsiasi responsabilità. Come è capace di farsi leggere, di essere presente nella pubblica agorà, deve essere anche suscettibile di giudizio e meritevole di pagare le conseguenze di ciò che dice.