Elezioni midterm, Arianna Huffington. ”L’America non è cambiata, ma sconta il peso della crisi”

Pubblicato il 3 Novembre 2010 - 13:46 OLTRE 6 MESI FA

Arianna Huffington

Il corrispondente di Repubblica da New York Arturo Zampaglione ha intervistato sul risultato delle midterm Arianna Huffington, la quale commentando la vittoria dei repubblicani sui democratici da un capo all’altro del Paese, giudicata da svariati osservatori una decisa svolta a destra dell’elettorato statunitense, esordisce rilevando che ”l’America non è cambiata con questo voto, sul quale pesa la bufera della crisi”.

«Attenti a non dare una interpretazione troppo estensiva dei risultati elettorali», avverte la Huffington, una delle cento persone più influenti mondo secondo la classifica della rivista Time.

«L’attesa vittoria della destra — spiega il direttore dell’ Huffington Post — non significa che gli Stati Uniti abbiano ripudiato i democratici e abbracciato i repubblicani. Semmai nasconde la delusione degli americani per la strada imboccata da Barack Obama e la sfiducia per un sistema politico che non ha funzionato».

Nata ad Atene sessanta anni fa, studi a Cambridge, una passione innata per la politica e per i media, la Huffington è considerata una della voci più autorevoli tra i commentatori liberal degli States. Non è sempre stato così: quando era ancora sposata con il petroliere repubblicano Michael Huffington si era battuta nel 1994 per farlo eleggere a senatore della California e in quegli anni sosteneva la «rivoluzione» di Newt Gingrich.

Ma da tempo la Huffington si è spostata a sinistra. E alla vigilia di questo voto di midterm ha persino partecipato alla manifestazione promossa a Washington dal celebre comico Jon Stewart e altri esponenti liberal.

Dal punto di vista europeo è difficile capire il rapido spostamento dell’elettorato americano: perché in soli due anni si è sfaldata la maggioranza che aveva eletto Obama? Perché un giudizio così severo se il presidente è riuscito ad avviare a soluzione la crisi economica e a introdurre riforme importanti? «La vera ragione è che gli americani hanno sofferto molto negli ultimi due anni a causa della recessione, diventando disoccupati, perdendo la casa e riducendo i consumi. In questa fase non hanno trovato risposte nelle istituzioni: di qui il voto di protesta. E Obama non è stato in grado di capire l’asprezza di questi stati d’animo».

Eppure il presidente ha concentrato i suoi sforzi proprio sull’economia. «Non lo nego, ma invece di dare priorità a misure anti-disoccupazione la Casa Bianca ha preferito salvare Wall Street, battersi per la riforma sanitaria e continuare la guerra in Afghanistan, che non servirà a niente se non a drenare le casse dello Stato».

Pensa che Obama abbia perso più voti a sinistra, tra giovani e delusi, o tra i ceti tradizionalmente più a destra? «La vecchia distinzione sinistra- destra non si addice troppo a queste elezioni. Quel che conta è come si muove la middle class, cioè la grande fascia di lavoratori americani che è stata la più colpita ».

Al di là dei risvolti elettorali, ritiene che la richiesta di una maggiore unità politica lanciata da John Stewart nella manifestazione di sabato scorso a Washington possa avere un effetto di più lunga durata? «Spero proprio di sì. Ed è stata importante la critica rivolta da Stewart ai media, che troppo spesso accentuano ad arte i conflitti politici invece di valorizzare il consenso che si costruisce ogni giorno nel Paese reale. In questo senso il suo auspicio che i media diventino il sistema unificante della democrazia assume connotati jeffersoniani: era quella, infatti, la speranza dei padri fondatori della patria».