Dopo la strage dei parà italiani. Morire per Kabul?

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 18 Settembre 2009 - 20:42| Aggiornato il 30 Settembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

I nostri confini, i confini dell’Occidente, sono laddove si combatte per difendere la nostra libertà, i nostri valori, la nostra dignità e anche i nostri interessi, quelli immediati e quelli di più ampia prospettiva, strategica e economica.

Non  si tratta di restare in terre ostili, armati adeguatamente, per esportare, come stupidamente ed arrogantemente si diceva qualche tempo fa, la democrazia. È roba che non si veicola con bombe e carri armati, ma con la cultura e la politica. Si tratta allora di dar seguito ad una scelta necessaria e dolorosa: prevenire l’allargamento del conflitto asimmetrico scatenato dai terroristi fondamentalisti contro il nostro stile di vita, le nostre convinzioni e convenzioni, il nostro stesso modo d’essere.

.Morire per Kabul? Nemmeno per sogno. Dobbiamo restare in Afghanistan non per dare all’ambiguo Karzai l’appoggio di cui ha un disperato bisogno al fine di condurre a buon fine i suoi traffici con i signori della guerra, i coltivatori di oppio e gli esportatori di droga, ma per salvaguardare noi stessi, ciò che rappresentiamo e siamo, nel bene e nel male.

Talebani, qaedisti, integralisti, islamisti, mercanti di morte di ogni genere che ci minacciano da tutte le parti, non possono avere partita vinta  soltanto perché gli uomini in armi dell’Occidente sono caduti in questi anni di dolore e di speranza.  Nessun ripensamento è consentito. Ma ad una condizione. Per quanto riguarda l’Italia, almeno, in Afghanistan ci si attrezzi a combattere sul serio e non soltanto a parare (quando si parano) i colpi dei terroristi. In altri termini se è guerra che sia guerra. La Costituzione la ripudia e la condanna come atto d’offesa agli altri popoli? Va benissimo. Nessuno intende sparare il primo colpo per acquisire domini che non  ci spettano. Dunque, quel che si chiede è perfettamente coerente con lo spirito e la lettera della Carta: abbiamo il dovere di difenderci in modo adeguato. Se non lo facciamo lo faranno i nostri nemici. I quali, oltre ad impadronirsi totalmente dell’Asia centrale, s’insinueranno nelle vite di tutti gli occidentali e metteranno, prima o poi, a ferro e fuoco Roma e Londra, Parigi e Berlino, New York e Madrid, Los Angeles e Bruxelles.

Alla sfida di chi vuol colpire, non certo per motivi religiosi, un mondo che si è strutturato nel modo che conosciamo nel corso dei secoli, che dobbiamo sforzarci di migliorare ma  al quale non siamo autorizzati  a rinunciare, si ha il dovere di rispondere con la stessa determinazione.

Se qualcuno pensa da questa parte dell’emisfero che è meglio abbandonare il campo, sappia che gli altri non lo abbandoneranno e trascineranno nel loro disegno di morte la grande maggioranza di un mondo che è sì differente e oggi anche più povero del nostro ma che nei secoli si è distinto per la sua civiltà, la sua cultura, la sua moderazione e anche  ha mostrato una tolleranza nei confronti del diverso che spesso avremmo dovuto invidiare. Un mondo con il quale si deve dialogare, con pari dignità, nel rispetto dei reciproci valori, per aiutarli a isolare i violenti, che fanno male a loro come a noi.