Fiat-Chrysler, governo Usa, sindacati: un’impresa mai vista

Pubblicato il 29 Aprile 2009 - 15:08 OLTRE 6 MESI FA

Sta nascendo una impresa mai vista: 55 per cento delle azioni ai sindacati, 10 per cento al governo americano, 35 per cento alla Fiat. Qualcosa di poco “americano” e di pochissimo “italiano”. Con i sindacati e i lavoratori che cogestiscono i rischi, rinunciano agli scioperi fino al 2015, tagliano il costo del lavoro e salvano l’occupazione. Con il governo che direttamente immette denaro pubblico, con un’impresa che porta in dote la tecnologia e l’altra che conserva il “brand” e la rete commerciale. Fiat e Chrysler sono sempre più vicine all’accordo. Dopo l’intesa con i sindacati statunitensi, che prevede anche dei tagli al personale, ecco quella con le quattro principali banche creditrici: JP Morgan, Citigroup, Goldman Sachs e Morgan Stanley che avrebbero accettato di svalutare i propri crediti, con un taglio drastico da 6,9 miliardi di dollari a circa 2 miliardi, in cambio di una partecipazione azionaria.

Non c’è ancora nulla di definitivo, ma per i quotidiani statunitensi è già tutto concluso: «Il Tesoro Usa e i creditori di Chrysler hanno raggiunto l’accordo», ha annunciato il Washington Post.

Tuttavia rimane ancora poco chiaro il meccanismo dell’operazione:  sarà evitata la bancarotta (soluzione preferita anche da Sergio Marchionne, l’amministratore delegato di Fiat) oppure si ricorrerà a una strada intermedia, con la nascita di una nuova Chrysler priva di debiti accanto alla vecchia destinata alla liquidazione? Nel primo caso il fondo Cerberus, che detiene la maggioranza azionaria, dovrebbe azzerare la propria quota.

In ogni caso per la Fiat non dovrebbe cambiare nulla, le due soluzioni infatti prevedono come esito finale una situazione di partenza a grandi linee già definita: il 55% del capitale andrebbe alla Uaw (United Auto Workers), il sindacato dei metalmeccanici Usa, mentre la Fiat avrebbe il 35% in cambio di tecnologie e know-how (un apporto quantificato tra gli 8 e i 10 miliardi di dollari). Il restante 10% sarebbe suddiviso tra il governo Usa e gli altri creditori.