L’Iran e gli altri/ La censura totale non esiste più, ad eliminarla ci ha pensato internet

Pubblicato il 23 Giugno 2009 - 14:31 OLTRE 6 MESI FA

La censura totale non esiste più, e i governi repressivi in tutto il mondo se ne stanno accorgendo osservando con preoccupazione gli avvenimenti in Iran, che secondo gli Ayatollah avrebbero dovuto essere proibiti a sguardi esterni e che invece sono stati esposti agli occhi inorriditi del mondo. E questo grazie allo strumento che forse più di ogni altro nella nostra era contribuisce alla lotta per la libertà di espressione e per la diffusione dei misfatti che compiono dittatori e tiranni in ogni parte del globo: internet.

Ne parla diffusamente il New York Times in un articolo con un titolo che la dice lunga su quanto è accaduto e sta accadendo nel Paese degli Ayatollah: «Il web schiude il coperchio della censura governativa iraniana». Prendete il caso più eclatante: l’assassinio di Neda Soltani, la ventisettenne manifestante che sabato scorso è stata uccisa con una fucilata al petto da un poliziotto.

Appena la giovane esalò l’ultimo respiro, il suo fidanzato, Kasamin Makan, che aveva filmato la scena, fece un rapido calcolo: doveva in qualche modo far sì che tutto il mondo sapesse nonostante le barriere elettroniche erette dal regime. Non potendo accedere a Youtube o Facebook, Kasamin inviò il video per e-mail ad un amico, il quale a sua volta lo spedì alla Voice of America, al quotidiano britannico The Guardian e a cinque amici in Europa, con il seguente messaggio: «Vi prego, lasciate che il mondo sappia». Uno dei suoi amici, in Olanda, inviò il video, 40 secondi di durata, due megabyte, a Facebook.

Quasi istantaneamente il video fu ripreso da Youtube e in un batter d’occhio ha fatto il giro del mondo, diffuso anche dalla Cnn. «Nonostante la censura iraniana – scrive il Times – grazie a internet Neda Soltani è stata trasformata nel giro di minuti da vittima senza nome a simbolo del movimento di protesta iraniano». Un esaltante episodio di informazione istantanea, frutto di quello che il web ha tra l’altro partorito: il giornalismo diffuso, figlio delle costantemente aggiornate tecnologie di questo ventunesimo secolo.

«La pervasività del web rende la censura un lavoro assai più complicato di quanto non fosse prima», osserva in proposito il professor John Palfrey, condirettore del Centro Berkman di Harvard per Internet e la Società. E l’Iran non è certo il primo Paese repressivo dove il web ha squarciato il velo con cui si è tentato di coprire gli eventi. Basta ricordare la sollevazione dei monaci e della popolazione contro la giunta militare birmana nell’aprile dell’anno scorso, quando un altro video che non doveva uscire dal Paese, quello di un fotografo giapponese anche lui ucciso a fucilate da un soldato, divenne un altro simbolo di disumana repressione.

Scrive ancora il Times: «Viviamo oggi in un mondo dove cellulari dotati di macchine fotografiche, Twitter, Youtube e tutte le altre finestre che schiude il web hanno posto in dubbio quanto potere hanno in effetti certi governi di sequestrare i loro Paesi agli occhi del resto del mondo e di impedire alle loro popolazioni di dissentire e ribellarsi».

Il Centro Berkman stima che una quarantina di governi – dalla Cina, a Cuba, all’Uzbekistan – controllano l’accesso dei loro cittadini a internet. L’Iran è uno dei Paesi dove il controllo è più stretto. «La tendenza in questi Paesi nell’ultimo decennio è stata verso controlli sempre più severi. E se è quasi impossibile che i censori riescano a vincere nel mondo di internet, non si può dire che non ci stiano provando», osserva il professor Palfrey.

E lo fanno, scrive il Times, con aiuti apparentemente insospettabili. «Nei giorni delle proteste a Teheran, le autorità hanno adoperato tra i più sofisticati filtri per bloccare certi siti del web, con tecnologie fornite, come ha denunciato anche il Washington Times, da Nokya Siemens Network, una joint venture formata dai colossi finlandese e tedesco.