Massimo Ciancimino: ”Qualcuno potrebbe aver ucciso mio padre”

Pubblicato il 24 Marzo 2009 - 14:38 OLTRE 6 MESI FA

Massimo Ciancimino, il rampollo del defunto Don Vito, sussurra un dubbio atroce: «Qualcuno potrebbe avere ucciso mio padre». Una rivelazione choc estranea al processo d’appello per riciclaggio tenuto ieri a Bologna, ma consegnata con la copia di un verbale del ’93 ai due magistrati di Palermo che lo stanno interrogando sulla “trattativa” fra Stato e mafia.

«Ho sempre avuto mille dubbi. Io ero in Sicilia quando lui morì a Roma, solo con la badante rumena poi subito espulsa dall’Italia. Era uscito quella mattina da una clinica per un check-up. Aveva visto il suo medico personale. Tutto a posto. Cosa accadde nel pomeriggio e la sera nessuno lo sa…».

«Sì, potrebbe essere stato ucciso al momento giusto…». Dice e non dice, Massimo Ciancimino, come da tradizione di famiglia, pronto a correggere e smentire, ma gelando i suoi eccellenti interlocutori, i pubblici ministeri Antonio Ingroia e Nino Di Matteo.

Davanti a loro avrebbe tirato fuori un dimenticato verbale del ’93 quando l’allora procuratore Caselli, con lo stesso Ingroia vicino, provò a stanare Ciancimino padre. «Foste voi a chiedergli di collaborare, di saltare il Rubicone », ricostruisce Massimo Ciancimino. E tira fuori il verbale: «Ecco la risposta di mio padre: “Quando Andreotti sarà condannato anche a un solo giorno, non disperate, verrò io a trovarvi”».

«La prima condanna di Andreotti a Perugia per il processo Pecorelli è del 17 novembre 2002. E mio padre – prosegue Massimo Ciancimino –  muore alle 5 del mattino del 19». Poi, ancora più esplicito: «Quando al cinema ho visto il Divo ho pensato a tutto questo. Perché Andreotti, al di là della sua persona, forse era il simbolo che bloccava tutto…».

«So che per rispondere ai miei dubbi bisognerebbe riesumare il cadavere, ma darei un dolore infinito a mia madre, ai miei fratelli che mi rimproverano questo e altro, “Chi te lo fa fare?”».