Pedofilia e odio per i cristiani: per il Papa è colpa del ’68

Pubblicato il 22 Dicembre 2010 - 01:08| Aggiornato il 4 Gennaio 2011 OLTRE 6 MESI FA

Il Papa, Benedetto XVI, parlando in occasione degli auguri di Natale alla Curia romana, ha toccato due temi molto rilevanti: gli attacchi ai cristiani e la pedofilia.

Sono temi scottanti sui quali per molti aspetti la Chiesa di Roma è inattiva. Ragioni di grande strategia diplomatica internazionale frenano la Chiesa dal prendere posizioni un po’ più attivistiche di quanto non possano essere degli accorati appelli domenicali, ragioni di difesa del patrimonio della Chiesa possono anche giustificare comportamenti di chiusura di fronte a un assalto che non sembra essere tutto motivato da esigenze di giustizia quanto dalla possibilità di compensare i torti con beni ecclesiastici, specie in America, che in altre religioni non sono così facilmente disponibili.

Nonostante quanto segue possa apparire scandaloso a molti ben pensanti, specie in materia di pedofilia, l’osservazione che viene spontanea a chi volesse ragionare in termini meno ortodossi è che la Chiesa, come ogni grande organizzazione, ha diritto al rispetto della sua ragion di stato. Poi uno può concordare, può dissentire, ma non stiamo parlando di una banda di pazzi criminali: magari un po’ gerontocomio, magari un po’ tanto scollata dal ritmo del tempo, ma la Chiesa di Roma è una istituzione che è lì da un paio di mila anni e insieme con molti danni all’Italia come realtà geopolitica non si può dire che qualcosa di bene non l’abbia fatto e che per questo è anche funzionale il patrimonio di cui dispone, negli ultimi secoli notevolmente ridimensionato rispetto al passato.

Però quando il Papa parla come ha parlato in occasione dei suoi auguri natalizi, allora vien da chiedersi se il suo modo di ragionare non sia dannoso per i rapporti tra l’istituzione Chiesa e i fedeli.

Quel che il Papa ha detto alla Curia può dirlo un vecchio parroco di una parrocchia marginale. Capita di sentire, in chiese di provincia, discorsi, dal pulpito, come questo: “Sono venuti a chiedermi consiglio i genitori di una ragazza un po’ troppo indipendente, voleva fare la sua vita, andare e venire a tutte le ore, non obbedire. Li ho consigliati di mandarla via di casa”. Non male come carità cristiana.

Ma sentire dal Papa che la colpa della pedofilia è nel relativismo frutto del ’68 e che gli assalti degli arabi musulmani ai cristiani in Medio oriente è frutto della”avidità di lucro” e dello “accecamento ideologico” fa cadere le braccia.

La pedofilia è vecchia come il mondo, ha intriso delle sue colpe molta letteratura, ha toccato imperatori (Adriano fece diventare dio il suo amore adolescente) e filosofi (a Socrate andò peggio e gli fecero bere la cicuta) e nelle sacrestie si commettesse quel genere di peccati è storia. Al rapporto etero sessuale fu posto rimedio fissando una certa età minima per le perpetue (la manzoniana età sinodale): in quei tempi privi di fecondazione assistita era quasi un miracolo una donna incinta oltre una certa età e questo fa pensare a un malpensante che la Chiesa, con senso pratico, si preoccupasse più di evitare gravidanze imbarazzanti che non rendere impossibile il peccato, ammesso che di peccato si tratti).

La pedofilia c’è sempre stata ma è stata sempre accettata come un fatto della vita, fino agli ultimi anni, quando la possibilità di raddrizzare i torti è diventata concreta grazie ad alcuni abili avvocati americani. Se frequentavi le parrocchie sapevi che dovevi stare un po’ attento, ma lo stesso valeva per insegnanti di ginnastica perfettamente laici, anzi anche ex repubblichini, come talvolta capitava nel dopoguerra.

Ma andiamo indietro nel tempo. Alexandre Dumas parla, quasi due secoli fa, del “jésuite fouetteur”  e, alla stessa epoca, il poeta licenzioso Pierre-Jean Beranger, nella canzone “Uomini neri, da dove uscite?”, accusa apertamente i gesuiti di rapporti impropri con i bambini affidati alle loro.

C’ è un canto goliardico italiano di tanto tenpo fa che chiama un prete “don Peder Asta” e il gioco di parole è trasparente.

Possibile che nessuno dei suoi vescovi o cardinaliglielo abbia detto al Papa? Come si fa a dare la colpa di un fenomeno millenario al ’68? Di colpe il ’68 ne ha tante, compreso quello di avere dato una tribuna a tanti volta gabbana e di avere disarticolato più del necessario una società fragile come quella italiana. Ma dargli la colpa della pedofilia e altri peccati è un po’ fuori del tempo: scusi, Papa, ma Sodoma e Gomorra non sono mica colpa del ’68.

E per quanto riguarda il Medio oriente, dire che l’odio fra fedeli di diverse religioni è figlio della avidità appare un po’ troppo come una iper semplificazione del problema, che dilania quelle terre da migliaia di anni. Lasciamo un attimo da parte gli ebrei, parliamo di cristiani e musulmani, di musulmani e musulmani, che si scannano ogni giorno e andiamo a vedere le diverse razze di appartenenza, scopriamo i nomi antichi che abbiamo studiato a scuola, dai caldei agli assiri, forse ci viene anche da pensare che il passaggio di tanti all’Islam portato dagli arabi invasori era la speranza di una vita migliore per popolazioni sottomesse a secolare sfruttamento.

Non è un fatto del solo Medio oriente: è successo in India, è successo nei Balcani. Volere vivere meglio non appare come un peccato,  odiare quelli che ti hanno sfruttato, odiare quelli che te la fanno pagare è un po’ meno nobile ma è insito nella natura umana, non si può spiegare superficialmente con la avidità e l’ideologia, per così poi finire al pauperismo della Chiesa che tanti danni ha fatto.

Meno ideologici e più pratici, gli inglesi, nella seconda guerra mondiale, si limitarono a fornire armi ai cristiani dell’Iraq, i quali diventarono preziosi alleati della lotta occidentale al governo golpista islamico e filo nazista del momento.

Forse meno livore anti modernista e un po’ più di attivismo risparmierebbe miserie e sofferenze e emigrazione forzata a migliaia di poveri cristiani.