Gerhard Richter, omaggio di Amburgo al pittore da milioni di euro

Pubblicato il 15 Febbraio 2011 - 08:00 OLTRE 6 MESI FA

Il quadro di Richter "Candles"

AMBURGO – Un grande artista, che sa di esserlo, ma che venera il culto della modestia prima di ogni altra cosa. Gerhard Richter è, probabilmente, il più importante pittore del dopoguerra, nonostante il suo nome non dica nulla ai più. Le sue opere hanno fatto discutere un’intera nazione, la Germania, i suoi quadri vengono battuti all’asta a suon di milioni. Euro o dollari, non importa: Richter non ama essere valutato in termini di denaro, il suo desiderio è che la società abbia bisogno di più arte. Ma non è così, ammette, allora si rifugia nella sua solitudine culturale.

Pittore solitario, uomo emblema di un tempo, Richter rifiuta ogni etichetta. Lo hanno bollato come neo-espressionista, e il mercato dell’arte americano gli ha regalato ricchezza e celebrità. Lo hanno definito cinico, decostruttivista e anche nichilista. Ma lui non ama essere messo in un barattolo di vetro. Proprio come Picasso, e in barba alla presunta coerenza cercata da case d’asta e collezionisti, Richter ha una natura camaleontica, mutevole: lui ama la bellezza, lui ama la pittura. Lui ama la qualità.

“Il grande problema della pittura di oggi, e il lato drammatico dell’arte moderna – ha dichiarato Richter – è che ora è possibile fare il nulla e semplicemente dichiarare che è arte. Senza nessun senso di qualità”.

Quando ha preso in mano per la prima volta una matita aveva solo 15 anni. Oggi le sue opere sono esposte in tutto il mondo. Dal Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo a Roma (MAXXI), al Bucerius Kunst Forum di Amburgo, che fino al 15 maggio gli dedica una mostra, passando per il tempio dell’arte contemporanea, il Museo di Arte Moderna (MoMa) di New York, che nel 2002 ha celebrato i suoi “40 anni di pittura”.

Nato nel 1932 a Dresda, Richter ha conosciuto da vicino la tragedia novecentesca delle ideologie. La Germania hitleriana, prima, con i traumi del secondo conflitto mondiale, e la Repubblica democratica tedesca (DDR) poi.

Nella sua città natale frequentava i corsi di Belle arti, la Germania socialista imponeva ai suoi studenti di imparare il “russo” e il “materialismo storico”. L’arte era sempre e solo ufficiale, la fede politica portava la legittimità culturale. Il realsozialismus dettava anche i canoni estetici. Realismo sociale, lo chiamavano. Per questo le prime opere di Richter non potevano che essere celebrazioni su murales di quel regime da cui ha deciso di fuggire nel 1961, per rifugiarsi nella Germania dell’Ovest. Le etichette non gli sono mai piaciute.