Matteo Orfini turpiloquio per Gentiloni. Pd zoo, tra sciacalli e giaguari
La cronaca di una giornata un po’ surreale del Partito Democratico, o Pd, è surreale, degna di Achille Campanile o Giovanni Guareschi a scriverla, sul Corriere della Sera, è Fabrizio Roncone e Blitzquotidiano la propone come articolo del giorno.
La storia ruota attorno a Matteo Orfini, dirigente di primo livello del Pd di discendenza Pci, e ai suoi insulti ad altri parlamentari del suo partito e a Paolo Gentiloni con nome e cognome.
È una polemica, interna al partito, avverte Fabrizio Roncone,
“più ruvida del solito; a tratti, scivola nel turpiloquio”.
L scena è a Roma, a Montecitorio, sede della Camera dei Deputati, il “transatlantico”, la lunga galleria dove si svolge metà della vita parlamentare.
Antefatto:
“Da pochi minuti è stata votata la decisione di interrompere i lavori per «una pausa di riflessione» chiesta dal Pdl (a favore Pdl, Pd e Scelta civica; contrari Sel, Lega e M5S). In realtà il Pdl, polemizzando con la Cassazione e per esprimere solidarietà a Silvio Berlusconi, aveva chiesto che il Parlamento restasse chiuso addirittura per tre giorni. La mediazione del ministro Dario Franceschini, capo delegazione del Pd al governo, ha ridotto i tre giorni in tre ore. Ma al momento del voto il Pd si è spaccato”.
A questo punto
“esce dall’aula l’onorevole Matteo Orfini“
Orfini, che a vederlo in foto non ha il dono della simpatia, non deve piacere nemmeno a Fabrizio Roncone, che lo descrive così:
“Ha 38 anni e una biografia scarna, lineare, solida: comincia a fare politica da ragazzo nel liceo Mamiani, a Roma, quartiere Prati; nello stesso quartiere diventa poi segretario della sezione Ds di piazza Mazzini, che è anche la sezione di Massimo D’Alema, dimostrazione plastica che la vita è fatta di passioni, e coincidenze. Orfini inizia così a collaborare con D’Alema, fino a diventarne un formidabile portavoce, capace di replicare toni e pause dell’eloquio, ma ancora molto diverso nell’abbigliamento: ai piedi, un paio di scarpe da riposo che D’Alema boccerebbe con mezzo sguardo”.
Matteo Orfini, prosegue il racconto,
“si ferma accanto a un gruppetto di cronisti. […Si fa] la conta di quelli che si sono astenuti, di quelli che non hanno votato. Come Paolo Gentiloni”.
Prorompe Orfini:
“Gentiloni è una merda”.
Racconta Fabrizio Roncone:
“I cronisti ascoltano, e c’è chi renderà il concetto meno aspro, chi eviterà di riferirlo; Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera scriverà [ma il giorno dopo] invece ciò che ha sentito. Appunto: «Gentiloni è una merda»”.
Più tardi, quello stesso giorno, Matteo Orfini
“interpellato dai cronisti delle agenzie di stampa, cambia registro. Gli chiedono: cosa pensa dei suoi colleghi che non hanno votato? Orfini, lapidario: «Sono sciacalli»”.
Segue una lettera di 13 deputati del Pd al segretario Guglielmo Epifani e al capogruppo alla Camera Roberto Speranza in cui chiedono se non “sia opportuna una valutazione da parte vostra per capire se non siano stati superati i confini minimi della decenza”.
Fabrizio Roncone chiede a Orfini se non pensi di aver esagerato:
«No».
Incalza Fabrizio Roncone: quelle parole, così volgari…
«Io non ho mai detto a Gentiloni che è una merda. Mai. Ci siamo scambiati alcuni sms dopo aver letto i giornali. E lui, con lealtà, ha ammesso di non avermi mai sentito pronunciare una simile parola».
Infatti è davanti ai cronisti che lei ha definito Gentiloni in quel modo.
«Ripeto: io non ho mai detto che Gentiloni è una merda… mentre non ho problemi a confermare che molti miei colleghi sono degli sciacalli».
Nemmeno questo è un bel termine.
«Lo so: ma ha la forza di aiutarmi a esprimere un giudizio politico».
Paolo Gentiloni replica via Twitter:
«Sono fiero di non aver votato ieri. A @orfini che mi dice: non sei una m. ma solo uno sciacallo rispondo: occhio agli amici del giaguaro».