Immunità parlamentare, diritto di critica: Italia = Turchia

di Daniela Lauria
Pubblicato il 26 Maggio 2016 - 06:24 OLTRE 6 MESI FA
Immunità parlamentare, diritto di critica: Italia = Turchia

Immunità parlamentare, diritto di critica: Italia = Turchia

ISTANBUL – Immunità di deputati e senatori, fin dove arriva e quando eccede? Mentre in Turchia hanno tolto la immunità parlamentare per una serie di reati politici che ruotano attorno al terrorismo, in Italia, dove già il reato di vilipendio incombe sul diritto di critica e di manifestazione del pensiero, il Senato vorrebbe rendere immuni da ogni critica non solo i parlamentari, ma anche i magistrati e tutti gli amministratori locali, portando a un massimo di 9 anni le pene per i giornalisti colpevoli di diffamazione.

Da un estremo all’altro. Nascono inquietanti interrogativi che portano a una conclusione: la strada della libertà è stretta e piena di ostacoli. Che differenza c’è fra il desiderio dei turchi di tenere sotto controllo le forme estreme dell’irredentismo curdo e le spinte manettare che vorrebbero tutti i politici in prigione anche solo per un sospetto? Cosa potrebbe succedere anche oggi se la riforma della immunità parlamentare l’avesse completamente eliminata, esponendo deputati e senatori non al vento dell’avviso di garanzia ma a quello dell’arresto preventivo, magari seguito, come si è visto troppo spesso, da assoluzioni a babbo morto?

Ma, al tempo stesso, dove si ferma l’esigenza di garantire il massimo di libertà d’azione e di indipendenza ad alcuni, ma solo ad alcuni, organi dello Stato, cioè politici e magistrati, rendendoli di fatto immuni da qualsiasi minima critica?

Il parlamento turco ha approvato un emendamento costituzionale che spazza via l’immunità parlamentare per i reati politici, come ad esempio il terrorismo. Può sembrare una norma assolutamente legittima, ma il vero problema è il significato politico della stessa perché apre la strada a processi ed arresti per decine di deputati, soprattutto, è stato notato, curdi.

Con il sostegno di una super-maggioranza, il presidente Recep Tayyip Erdogan si avvicina a un obiettivo mai nascosto: sbarazzarsi dei parlamentari dell’Hdp, che considera il braccio politico del Pkk, sostenendo di non vedere differenze tra “un terrorista che porta una pistola o una bomba e quelli che usano la loro posizione e una penna”.

Oltretutto la norma è stata votata a scrutinio segreto e approvata con 376 voti a favore, ottenendo il sostegno anche dell’opposizione nazionalista Mhp e di una ventina di deputati del socialdemocratico Chp. Il che significa che, avendo ottenuto una maggioranza superiore ai 2/3 dei seggi (367/550), non è necessario che venga ratificata da un referendum.

Da più parti si sono sollevate critiche e preoccupazioni per quello che a tutti gli effetti sembra un golpe politico per distruggere completamente la separazione dei poteri, subordinando quello legislativo a quello esecutivo ed esponendo il primo agli attacchi di una magistratura estremamente politicizzata e faziosa. I timori nascono dal controllo che il governo turco già esercita sulla magistratura. Il 15 febbraio 2014 il parlamento di Ankara ha infatti approvato una contestata riforma della giustizia che per l’opposizione mette il sistema giudiziario sotto controllo del governo

Ora almeno 138 deputati turchi potrebbero finire direttamente in galera, scatenando il rischio di nuove ondate di violenza in un Paese già in guerra. “È un colpo di stato” di Erdogan, accusa lo stesso Hdp, pronto a ricorrere alla Corte Costituzionale. Ma la mossa suscita forti allarmi anche a livello internazionale.

“È un colpo alla democrazia turca e alla libertà politica”, denuncia il presidente del parlamento Ue, Martin Schulz. A sollevare la questione è stata anche la cancelleria Angela Merkel nel suo incontro con Erdogan a Istanbul, a margine del Vertice umanitario dell’Onu. “Un Paese democratico – ha detto – ha bisogno di un sistema giudiziario e di una stampa indipendenti, e di un Parlamento forte”. Ma il presidente turco non arretra e minaccia di far saltare l’accordo sui migranti con l’Ue.

Al momento sono 139 i deputati turchi sotto inchiesta di tutti i partiti, per un totale di 682 richieste di autorizzazione a procedere: più della metà a carico dei curdi. Altri 105 casi dovrebbero approdare in Parlamento prima della ratifica di Erdogan. Tra i curdi, almeno 50 parlamentari su 59 rischiano di perdere il loro scranno. Alcuni potrebbero finire direttamente in galera, come previsto per le accuse più gravi di sostegno al Pkk, che sono oltre 200.

Una spada di Damocle possibile in gran parte per la severità della legge antiterrorismo, che Ankara ha blindato proprio nelle trattative con l’Ue. E una pietra tombale sulle già scarse speranze di riprendere un dialogo con i curdi e frenare il conflitto in corso nel sud-est della Turchia, che dall’estate scorsa ha provocato centinaia di morti e decine di migliaia di sfollati.

È la prova che “l’unica opposizione a Erdogan siamo noi”, rivendicano ora i curdi. Così si riaffacciano prepotenti i fantasmi del 1994, quando 4 di loro furono privati dell’immunità e poi incarcerati per anni con accuse di sostegno al Pkk. Tra questi, la pasionaria Leyla Zana, che oggi, dopo 10 anni di prigione in cui si è sempre proclamata innocente, è di nuovo in Parlamento.

A ciò si aggiunge la già citata riforma della giustizia, presentata dopo l’esplosione il 17 dicembre 2013 della cosiddetta “Tangentopoli del Bosforo” che aveva travolto decine di politici e scosso alle fondamenta il potere dello stesso Erdogan. All’epoca le opposizioni turche denunciarono che le nuove norme avrebbero posto di fatto sotto il controllo del ministro della Giustizia il Consiglio Supremo dei Giudici e dei Procuratori (Hsyk, il Csm turco) e l’Accademia della Magistratura. Compromettendo così il sistema giudiziario, con tanti cari saluti al principio della separazione dei poteri in uno Stato di diritto.

In Italia, l’immunità parlamentare è garantita dall’articolo 68 della Costituzione e fu parzialmente limitata nel 1993 sull’onda di Mani Pulite. Attualmente è consentito alla magistratura di sottoporre ad indagini i parlamentari senza richiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza, arrestare il parlamentare in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna e mettere in arresto il parlamentare nel caso in cui sia colto nell’atto di commettere un reato per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.

Mentre non è consentito all’autorità giudiziaria, senza preventiva autorizzazione della Camera: sottoporre a perquisizione personale o domiciliare il parlamentare, arrestarlo o privarlo della libertà personale ad eccezione di una sentenza irrevocabile o della flagranza, e procedere ad intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni e a sequestro della corrispondenza.

Con la riforma del 1993 si escluse dall’immunità parlamentare il caso in cui un deputato dovesse essere perseguito in virtù di una sentenza di condanna passata in giudicato e si eliminò la necessità dell’autorizzazione a procedere per sottoporlo a procedimento penale.

Con la nascita della Repubblica e la prima stesura della Costituzione, il principio dell’immunità prevedeva che i parlamentari non potessero essere nemmeno sottoposti a indagine senza un voto della camera di appartenenza, la cosiddetta “autorizzazione a procedere”. Lo stesso doveva accadere anche in caso di condanna definitiva. L’unico caso in cui era permesso l’arresto era la flagranza di un reato per il quale fosse obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura.

All’epoca, l’inserimento dell’immunità parlamentare nella Costituzione fu considerato una vittoria della sinistra, a garanzia della possibilità di fare politica senza temere ritorsioni e repressioni da parte della magistratura. Serviva ad evitare che una magistratura politicamente motivata potesse perseguire pretestuosamente un parlamentare per limitare la sua libertà o interrompere le sue attività o semplicemente ricattarlo. Ma oggi?