Sbarco cinese in Sicilia? L’aeroporto hi-tech batte il Ponte fantasma

di Warsamé Dini Casali
Pubblicato il 8 Novembre 2011 - 09:38 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Una Grande Opera che restituisca finalmente alla Sicilia la sua centralità nel Mediterraneo: no, non si tratta del Ponte di Messina, cui ormai non crede più nessuno. Ma di un nuovo aeroporto internazionale, da costruire in provincia di Enna, interamente “made in China”. Gli investitori sono già pronti, intendono spendere 300 milioni per realizzare una sorta di Malpensa sull’isola, con piste lunghe 5 chilometri. I cinesi puntano a costruire una porta d’ingresso nel sud d’Europa per le persone e soprattutto le merci. Un autentico hub internazionale, una struttura aeroportuale hi-tech, costruita interamente con materiali eco-compatibili, un progetto che segue le linee guida per i voli intercontinentali degli aeromobili di nuova generazione. Un progetto serio, che risponde a una strategia commerciale precisa, un’opportunità per la Sicilia di attrarre risorse dall’estero. Il confronto con il progetto del Ponte è imbarazzante: annunciato a ogni tornata elettorale fa parte dei sogni nel cassetto di cui si è persa la chiave.

E’ stato individuato un sito adatto a Centuripe, un pittoresco borgo di circa 6000 abitanti in provincia di Enna, a poco meno di 50km da Catania: un’area talmente depressa che accoglierebbe a braccia aperte la potenziale nuova dominazione cinese. La proposta è stata raccolta e attentamente valutata da Gaetano Armao, assessore regionale all’Economia: “Vedremo nelle prossime settimane di seguire l’iter di maturazione del progetto che si connette ad altre iniziative di investimento”. La determinazione della Cina ad aprire nuove rotte intercontinentali al proprio commercio mal si concilia con il verbo “vedremo”. Centuripe è un’opzione, forse quella privilegiata, fra le tante prese in esame. Se la Sicilia, come si teme, non offrirà risposte in tempi rapidi, Pechino dirotterà l’impegno su Atene, dove ha già acquisito il controllo della zona portuale. Oppure la Tunisia, l’Egitto, la Spagna. Pensano a tre anni per la costruzione definitiva, più per venire incontro alle prevedibili lungaggini burocratiche italiane: fosse per loro il programma avrebbe una scadenza di 18 mesi.

Detto così, sembra troppo bello, come il nome dell’aeroporto, La Zagara, il fiore d’arancio che accomuna le culture contadine di Cina e Sicilia. Chi ha qualche obiezione al matrimonio parli ora o taccia per sempre? Troppe sono le mani alzate. Prima cosa il sito designato è troppo vicino all’aeroporto di Catania, di cui diventerebbe un ingombrante  doppione. Soprattutto, non sarebbe a distanza di sicurezza dall’aeroporto militare di Sigonella, gestito dalla marina americana. Hillary Clinton ha già chiesto spiegazioni all’omologo cinese, segno che si è già superata la fase di studio e fattibilità. L’altro rischio paventato è la bulimia commerciale cinese: altri investimenti sono già allo studio per affiancare lo sbarco in Sicilia. L’interporto è una possibilità e anche il Ponte, chissà, un domani nemmeno troppo lontano, i cinesi sarebbero disposti a costruirlo se c’è da fare un bel business. C’è chi è convinto che la depressione economica della zona sia dovuta alla concorrenza cinese sul territorio, aziende che possono contare su una manodopera low cost, motivo per il quale un ulteriore investimento cinese porterebbe più danni che benefici.

Non abbiamo parlato di mafia. Ma quello è un rischio che c’è, forse doppio. Le cosche locali faranno di tutto per essere della partita mentre la penetrazione delle famiglie cinesi è un fatto. Se uniscono gli sforzi la terra sarà il regno del malaffare. “Un affare di queste dimensioni crea gli appetiti delle organizzazioni mafiose, sia catanesi che palermitane – spiega il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia – E in più, anche se non abbiamo oggi nessuna prova di commistioni tra mafia siciliana e cinese, non è escluso che possano verificarsi in futuro”.