Caso Giuseppe Uva, le telefonate dei Carabinieri: “E’ debole, facile da tenere”

Pubblicato il 3 Aprile 2010 - 11:17 OLTRE 6 MESI FA

Giuseppe Uva

Nuova svolta nelle indagini sul caso di Giuseppe Uva, l’uomo trattenuto in caserma a Varese tra il 13 e il 14 giugno 2008 e morto inspiegabilmente la stessa notte all’ospedale di Circolo, pieno di lividi e macchie rossastre. Girano alcune intercettazioni, riportate sul sito di “La Repubblica”, in cui si sentono due carabinieri che scherzano al telefono e commentano i fatti di quella notte e descrivono Uva come un ragazzo “debole” che “fisicamente si può tenere”. Insomma uno che non è difficile da “tenere a bada”. La telefonata sembra quindi smentire la ricostruzione dei carabinieri che hanno sempre parlato di “atti di autolesionismo” per giustificare le ferite di Uva.

La registrazione è contenuta nel fascicolo del procedimento perché la procura aveva acquisito agli atti le registrazione di 112, 113 e 118. È così che spunta la telefonata che l’amico di Uva, Alberto Biggiogero, fa al 118. Seduto su una panca nella caserma di via Saffi, vede “il via vai di carabinieri e poliziotti”. Sente “le urla di Giuseppe che echeggiano per la caserma e i colpi dal rumore sordo”. Chiama il 118. “Stanno massacrando un ragazzo”, dice all’operatore che chiama in caserma e chiede se deve mandare un’autoambulanza. “No, no sono due ubriachi – rispondono – ora gli togliamo i cellulari”. Alberto mette a verbale di aver “udito le urla incessanti di Giuseppe per circa un’ora e mezzo ancora”.

“La telefonata tra i militari – dice l’avvocato degli Uva Fabio Anselmo – mina alla base la versione data dalle forze dell’ordine, che sostengono che Uva si sia procurato le ferite da solo”.