Cassazione: dare il consenso alle botte del fidanzato geloso non esclude il reato

Pubblicato il 31 Marzo 2010 - 20:13 OLTRE 6 MESI FA

Non attenua la condanna per maltrattamenti la circostanza che la vittima, nelle fasi iniziali del rapporto di convivenza, abbia dato il suo assenso alle reazioni violente del fidanzato ossessionato dalla gelosia. Lo sottolinea la Cassazione confermando la condanna a tre anni di reclusione nei confronti di Gianfranco M., un calabrese di 39 anni, convivente con una hostess toscana che pedinava e malmenava ogni volta che sospettava un fantomatico tradimento.

Nei tre anni del loro legame si erano lasciati e ripresi più volte. La donna aveva anche acconsentito a trasferirsi da Pisa a Cosenza, città natale del suo partner, affiché lui potesse controllarla meglio. Ma le botte erano venute lo stesso tanto che Laura S. si era dovuta rifugiare a casa della sorella del fidanzato.

In un’altra occasione era intervenuta la polizia per fermare Gianfranco che aveva aspettato la sua compagna all’aeroporto per prenderla a testate. Senza successo l’uomo ha chiesto uno sconto di pena sostenendo che Laura era d’accordo con questa “particolare modalità di relazione” tanto è vero che aveva proseguito “sistematicamente e volontariamente” la loro relazione, segno questo di un “ambito corrisposto di tollerabilità “.

Ma la Suprema corte gli ha detto “no” spiegando che “l’eventuale consenso, espresso nel solo momento iniziale della relazione” non salva dalla condanna. L’autorizzazione “all’uso della violenza quale espressione diretta di un qualsiasi sussulto di gelosia del partner convivente – aggiunge la Cassazione – può funzionare da giustificazione solo se venga data per tutta la durata della relazione. Invece la hostess fuggendo e ribellandosi aveva dato prova di non essere più consenziente”.

Miglior sorte non ha avuto la carta della gelosia giocata da Gianfranco come elemento che offuscava la sua volontà facendone un ‘Otello’ brutale ma inconsapevole. “La gelosia quale stato passionale, in soggetti normali si manifesta come idea generica portatrice di inquietudine – sottolinea la Cassazione – che non è usualmente in grado né di diminuire, né tanto meno di escludere la capacità di intendere e di volere”.

A meno che “esso nasca e si sviluppi da un vero e proprio squilibrio psichico, il quale deve presupporre uno stato maniacale, delirante, o comunque provenga da una alterazione psicofisica consistente e tale da incidere sui processi di determinazione e autoinibizione”. Gianfranco è stato condannato anche per sequestro di persona perché aveva chiuso Laura in casa.

I suoi genitori hanno versato alla hostess 2.500 euro per chiederle scusa ma la Cassazione ha deciso che nemmeno questo gesto può attenuare la pena perché “a insistere per l’accettazione della somma non è stato l’imputato ma i suoi familiari”.