Stefano Cucchi, la famiglia: “Azione legale contro il ministero della Giustizia”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 1 Novembre 2014 - 14:59 OLTRE 6 MESI FA
Stefano Cucchi, la famiglia: "Azione legale contro il ministero della Giustizia"

La famiglia di Stefano Cucchi (Foto Lapresse)

ROMA – “Il ‘caso Cucchi’ non finisce qui”: la famiglia di Stefano Cucchi, il trentenne romano morto nell’ottobre del 2009 dopo un arresto per droga, non si arrende alla sentenza di secondo grado che ha assolto tutti gli imputati, medici, infermieri e agenti. Fabio Anselmo, avvocato della famiglia, annuncia un‘azione legale contro il ministero della Giustizia. 

“Ora aspetteremo le motivazioni della sentenza per preparare il nostro ricorso per Cassazione ma intraprenderemo anche un’azione legale nei confronti del ministero” della Giustizia, “affinché si possa riconoscerne la responsabilità rispetto alla morte di Stefano”.

Secondo la difesa della famiglia Cucchi da entrambi i processi emerge che comunque un pestaggio nelle celle del Tribunale c’è stato e quindi si chiama ora in causa il ministero della Giustizia affinché riconosca la sua responsabilità dal punto di vista di un risarcimento danni.

La famiglia di Cucchi, nelle more del processo d’appello, ha già ottenuto un maxi-risarcimento da un milione e 340mila euro frutto di una accordo-transazione con i legali dell’ospedale dove Stefano morì; tant’è che nel giudizio d’appello non erano costituiti contro le parti mediche. E adesso la notizia della volontà di intraprendere un’azione legale nei confronti del ministero.

“Io non critico la sentenza, commenta il giorno dopo l‘avvocato Anselmo. Non posso fare a meno di ricordare che già durante l’udienza preliminare avevo previsto questo esito. Adesso abbiamo una sentenza che certifica l’insufficienza di prove su tutto: sugli autori del pestaggio e sulle singole responsabilità di medici e infermieri. La fragilità e le imbarazzanti contraddittorietà della perizia disposta dalla Corte di primo grado mai avrebbero potuto reggere a un vaglio severo e giusto da parte dei giudici di seconda istanza”.