Arizona. Processo Jodi Arias, show in streaming. Psicosi degna di Black Mirror

di Warsamè Dini Casali
Pubblicato il 27 Marzo 2013 - 07:00| Aggiornato il 16 Novembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Arizona. Processo Jodi Arias, show in streaming. Psicosi degna di Black Mirror. “The Jodi Arias Trial” non è un format tv, né l’ultimo grido in fatto di applicazioni digitali: è pura, efferata realtà e per questo oggetto mediatico irresistibile consumato a dosi bulimiche come fosse un reality show interattivo.

Degno delle ossessioni del creatore della serie tv Black Mirror, trilogia horror-tecnologica inglese senza divi e plot rassicuranti, nella quale l’episodio finale (The White Bread – L’Orso bianco) anticipa, meglio, conferma la deriva paranoica cui ci precipitano gli “schermi neri”, quelli delle nostre tv, smartphone, strumenti sempre accesi della nostra alienazione visiva.

Il brutale assassinio di Travis Alexander. Il 9 giugno 2008, Travis Alexander, venditore di 31 anni, viene trovato morto nella doccia del suo appartamento a Mesa, nei sobborghi di Phoenix, Arizona. 27 ferite da arma da taglio, la gola recisa da orecchio a orecchio, una fucilata in testa a bruciapelo. Accusata dell’omicidio è Jodi Arias.

Prima ha negato, poi invocato la legittima difesa: infine non nega l’assassinio ma ammette di non ricordare più nulla. Ricorda quella serata, una notte intensa passata a far l’amore e scattare fotografie. Quindi il buio. Secondo le testimonianze la loro relazione era finita a causa della gelosia di lei ma i due avevano proseguito nei loro incontri amorosi. Lei gli aveva bucato le ruote dell’auto e lo tampinava per telefono. Una stalker ossesiva ha consumato la sua vendetta?

Tribunale di Maripoca County: un processo reality-show. Il processo contro Jodi Arias è iniziato il 2 gennaio 2013. Da questo momento il tribunale di Maripoca County si trasforma nel set di un reality show. Solo la Cnn gli dedica un canale streaming. Telecamere ovunque, moltiplicate da quelle di un pubblico che si fa sempre più numeroso.

In tribunale e a casa, monta la febbre di chi non si limita più ad assistere: frenetici tweet, riprese al telefonino con puntuali registrazioni delle “puntate” su youtube, gruppi avversari che si affrontano su Facebook, centralino del tribunale perennemente ingolfato da centinaia di chiamate e messaggi durante le udienze (“fatemi parlare con l’avvocato della difesa che voglio…).

In aula succede di peggio, la psicosi non si esprime solo virtualmente: l’inviato di Usa Today descrive vari allontanamenti, una donna vomita dalle tribune, il giudice la caccia dall’aula, una suoneria inopportuna riempe di ragli di somari l’aula del tribunale. Un serraglio di uomini e donne tutti muniti di telefonino pronto all’uso.

“Non ricordo nulla”. Questa settimana uno psichiatra a 250 dollari l’ora sta illustrando le ragioni per cui un grave trauma può inibire il ricordo, la tesi che se accolta potrebbe evitare la sedia elettrica a Jodi Arias. Nel frattempo sono trascorsi 800 mila dollari di onorario allo psichiatra per una diagnosi che dice “disordine da stress post-traumatico”.

Il dottor Samuels spiega anche come, durante un evento specialmente stressante, la porta dei ricordi s’incastri, l’adrenalina inibisca la registrazione degli eventi, come non fossero mai accaduti. Ma l’amnesia dissociativa di cui parla Samuels non placa la sete forcaiola della maggioranza dei “Jody Arias Trial’s addicted”.

“Crepi la puttana gelosa” è il messaggio meno oltraggioso. Deve pagare. L’ansia partecipativa, frustrata dalle garanzie processuali, si sfoga su Internet, il giudizio assume l’unanimità sinistra dei gruppi di ascolto organizzati. Ma i pochi disposti a considerarla innocente, debbono mostrare foto della vittima che circolano per indicare due persone armate impressionate sulla pupilla destra di Travis, ,’ultima immagine formatasi nel suo occhio…

Lo “schermo nero”. Dispiace raccontare il finale di una eccellente fiction tv, davvero nuova e inquietante. Ci limiteremo a dire che ne l’Orso Bianco, terzo episodio della trilogia Black Mirror, alla caccia all’uomo (a una donna priva di memoria) con inseguitori armati e soccorritori equivoci, “partecipano”, senza interferire, centinaia di passanti, anonimi cittadini muniti di videocamera e soggiogati dall’emissione di un segnale video. Ci limiteremo a dire della pena scontata da un assassino trasformata in reality show. Futuribile, ma solo nelle intenzioni di Charlie Brooker, creatore della serie.