La guerra in Iraq è un business da miliardi di dollari. Sempre più mercenari legalizzati al posto dell’esercito americano

di Francesco Montorsi
Pubblicato il 4 Settembre 2009 - 10:12 OLTRE 6 MESI FA

La guerra al terrore ha lasciato molte macchie sulla reputazione degli Stati Uniti. Tra queste lo scandalo dei war-contractor, un nodo irrisolto che non smette di sollevare dubbi sull’eticità della condotta americana nei conflitti in Iraq e Afghanistan.

A gettare benzina sul fuoco è arrivato un recente reportage del New York Times, il quale ha svelato che la Cia avrebbe pagato Blackwater, uno dei più potenti contractor americani, per eseguire assassini mirati di membri di Al-Quaeda. Immediatamente, il fondatore e presidente di Blackwater, Erik Prince, è stato accusato di omicidio e favoreggiamento.

Il contractor privato Blackwater è stato già in passato al centro di tragici episodi che hanno messo in luce l’ambiguo ruolo di questi imprenditori della guerra (contractor, in inglese, significa, imprenditore). Nel 2007 diversi soldati della compagnia aprirono il fuoco su una piazza affollata di Baghdad. Dissero che era stato teso loro un agguato. Per terra restarono 17 morti.

La guerra dell’era Bush si è avvalsa fin dai primi istanti di questa forma di capitalismo bellico, che dal punto di vista politico presenta indiubbi vantaggi. I contractors non sono soggetti alle norme che regolano i militari e quindi il loro impiego è più flessibile e casi di cattiva condotta, come appunto quello della strage, non vengono direttamente ricondotti all’esercito regolare e quindi al governo.

In tempi recenti, la totalità dei contratti di guerra in Iraq fu assegnato alla KBR. In due o tre anni le somme versate al contractor, secondo una commissione del Congresso Americano, si aggiravano intorno ai 24 miliardi di dollari. Magia del caso: la KBR è una filiale della Halliburton, la compagnia diretta da Dirk Cheney, l’allora vice presidente americano.

Blackwater non lavora più in Iraq. La strage di Baghdad le ha tagliato il terreno sotto i piedi con l’amministrazione irachena che non le ha rinnovato i contratti. Eppure, non molto è cambiato, perché numerosi ex-impiegati lavorano con il nuovo contractor che ne ha preso il posto. Intanto Blackwater ha cambiato nome. Adesso si chiama Xe-services e parteciperà alle nuove gare d’appalto.

Forse Blackwater, pur camuffata, non resterà impunita. A breve la corte di Washington pronuncerà il verdetto sui sei paramilitari imputati per la strage di Baghdad, uno dei quali si è già dichiarato colpevole. Intanto un altro processo, intentato da un gruppo di Iracheni, coadiuvati da un centro per i diritti costituzionali, contro Blackwater potrebbe avere un finale clamoroso. Due ex-impiegati della compagnia, durante le audizioni, hanno dichiarato ai giudici che Mr. Prince avrebbe facilitato l’esecuzione di omicidi.

Malgrado la giustizia si sia, finalmente, messa in moto, per sanzionare le tragiche storture della guerra al terrore secondo Bush, le buone lezioni della storia non sembrano essere state tirate. In questi mesi i contratti per compagnie di sicurezza private in Afghanistan si sono moltiplicati a vista d’occhio. Un po’ per la crescente insicurezza che domina l’Iraq via via che si accentua il disdimpegno americano; un po’ perché le forze paramilitari appaiono destinate a sostituire l’esercito regolare degli Usa.

Sembra quindi inevitabile che nei prossimi mesi assisteremo ad un conflitto, al quale partecipano, è bene ricordarlo, anche ragazzi italiani, che sarà sempre più condotto da mercenari senza adeguato addestramento, responsabile delle loro azioni solo davanti ad un consiglio di amministrazione.