Si torna a volare. I governi europei ci provano e si infilano nei “corridoi” aerei

Pubblicato il 19 Aprile 2010 - 17:19 OLTRE 6 MESI FA

L’Unione europea ha approvato la riapertura dei cieli. Accordo raggiunto tra i ministri dei trasporti dell’Ue, dopo il consiglio straordinario del pomeriggio.

Da domani mattina alle 8 in Europa si tornerà a volare, con una progressiva e coordinata riapertura degli spazi aerei. Lo ha detto il commissario Ue ai Trasporti Siim Kallas.

Intanto, la scienza si interroga: volare oppure no? Ma la scienza non sa, non può sapere. Non c’è un numero di esperienze di voli nella nube sufficiente a sapere, testare cosa succede in quel caso. Così alla “scienza” si tira la giacca, di qua e di là: voli prova effettuati per dimostrare che volare si può, ma non un solo esperto che possa prendersi la responsabilità di dire che non c’è pericolo. Per il semplice fatto che “l’esperto” non c’è.

La scienza non sa cosa esattamente ci sia in quella nube e quale effetto faccia agli aerei in volo. Allora la meteorologia? Può dire solo dove va il vento e quindi la nube. Quindi non può dare risposta, se non quella che individua dove si aprono, grazie al vento e alle correnti, “corridoi” dove gli aerei possono passare. Ma sono corridoi mobili e non fissi per definizione. Il “corridoio” può aprirsi e chiudersi.

Il vulcanologo e il meteorologo non rispondono, non possono. E allora volare o no diventa questione economica e politica. Le compagnie aeree vogliono rischiare e premono sui governi perché diano il via libera alla riaccensione dei motori. Non per incoscienza ma per istinto di sopravvivenza. Un’altra settimana come quella passata e saranno morte. L’economia vuole che si decolli, con prudenza ma che si decolli. La politica, per ora, non ha grande voglia di rischiare. La responsabilità politica di una scelta azzardata nessun governo se la vuol prendere. Scienza, economia e politica: non è Babele ma non parlano la stessa lingua.

Aerei bloccati ed economia in ginocchio, o voli regolari e rischi per i passeggeri? Consola la notizia che l’eruzione del vulcano islandese Eyjaafjallajkull rallenta. Ma i voli cancellati si aggirano intorno al 70-80 per cento del totale, con una perdita oggi di oltre 200 milioni di dollari al giorno per le compagnie aeree e domani, se continua, di diversi miliardi di dollari per l’economia mondiale. Sotto accusa è la chiusura indiscriminata degli spazi aerei europei. Per questo le compagnie hanno chiesto l’apertura di “alcuni corridoi” per consentire almeno qualche collegamento.

Secondo la Iata (l’Associazione internazionale per il trasporto aereo) l’impatto economico è superiore a quello dell’11 settembre 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle. “E’ una cosa imbarazzante per l’Europa, ha detto il numero uno Iata, Giovanni Bisignani alla Bbc, è un caos europeo. Sono stati necessari cinque giorni per organizzare una conferenza telefonica con i ministri dei Trasporti dell’Unione europea, ha denunciato. Gli europei utilizzano ancora un sistema basato su un modello teorico, anziché prendere una decisione basata sui fatti e uno studio del rischio” ha insistito. E le compagnie hanno mandato aerei in volo, senza danno. Ma un danno lo ha dimostrato il caso del jet F-16 della Nato, invaso dalla cenere del vulcano trasformatasi in cristalli di vetro alle alte temperatura.

Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, è categorico: “Chiudere i cieli ai voli è una precauzione indispensabile in base alle nostre conoscenze. La cenere scatenata dal vulcano islandese, spiega lo scienziato, è composta da silicati e metalli, sostanze corrosive che bloccano i reattori degli aerei e impediscono loro di volare. Sarebbe stato necessario investire di più sui sistemi di analisi e osservazione di fenomeni rari e dimenticati, come questo, sui quali non c’è una grande casistica. Difficile sapere rapidamente dove andrà a finire la nuvola nera o misurare la consistenza dei grani di polvere”.

“In aviazione la sicurezza è uno dei fattori primari e la cautela è d’obbligo davanti ai rischi”, gli fa eco Massimiliano Lanz, direttore del Dipartimento di ingegneria aerospaziale del Politecnico di Milano. “I rischi portati da una nube vulcanica non si conoscono bene perché, per fortuna, il fenomeno è raro. Si sa che i motori sono vulnerabili e le particelle si fondono al loro interno causando danni gravi. C’è dunque un’evidenza di pericolo che non si può ignorare. Dunque è meglio mettere gli aerei a terra.”

Ma contro gli inviti alla prudenza si alzano le voci delle compagnie aeree, che hanno espresso la loro “insoddisfazione” sulla gestione della crisi. La British Airways ieri ha sfidato il divieto di volare:  Willie Walsh, il chief executive della compagnia aerea britannica, ha volato per tre ore tra Londra e Cardiff passando sull’Atlantico a bordo di un Boeing 747. Un portavoce ha detto che l’aereo non ha riscontrato problemi di sorta ma che oggi i tecnici di Ba studieranno gli effetti sui motori del velivolo prima di decidere se il volo ha provocato qualche danno. “Non metteremmo mai in pericolo il nostro personale o i nostri aerei”, dicono dalla compagni,a ma i test di volo dimostrano che  ”non sono necessari” nuovi provvedimenti di chiusura dello spazio aereo.

Intanto la Commissione europea, viste le “circostanze eccezionali”, sta pensando di utilizzare gli stessi strumenti di aiuto alle compagnie aeree che vennero usati dopo dell’11 settembre 2001. “Se gli stati membri decideranno di aiutare le compagnie tramite aiuti di Stato, faremo in modo di renderlo possibile”, ha detto il commissario Ue alla concorrenza, Joaquin Almunia.

Almunia, assieme al suo collega responsabile dell’economia, Olli Rehn, è stato nominato ieri dal presidente della Commissione, José Manuel Barroso, membro del gruppo ad hoc che si occuperà di reagire alla crisi del trasporto aereo europeo creata dalla nube di cenere vulcanica islandese.

Compagnie aeree e aeroporti chiedono di riconsiderare le misure precauzionali finora adottate, ritenendole eccessive. Ma anche la sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo è stata ridotta per mancanza di un numero sufficiente di eurodeputati (almeno un terzo): si chiude mercoledì, e non si vota. Troppo pochi i parlamentari arrivati in aula. Il blocco dei cieli non fa distinzioni.