Cina 6,5$, Germania 16$, Usa 23$, Taiwan 21$…: quanto costa un iPhone

Pubblicato il 6 Luglio 2012 - 09:12 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Pensate che l’iPhone sia americano? Vi sbagliate: è cinese, taiwanese, tedesco, coreano e poi sì, pure un po’ americano. Tutto per la globalizzazione.

Come sottolinea Repubblica, ormai anche il concetto di esportazione non è più quello di un tempo. Pochi sono i prodotti che vengono realmente “prodotti” nel luogo da cui poi sembrano esportati. Un discorso valido più che mai per l’iPhone. E che ha conseguenze a livello macroeconomico.

Repubblica spiega che nel caso dell’iPhone 4, l’assemblaggio avviene in Cina, ma questo passaggio impatta solo per il 3,5% (6,5 dollari) sul costo finale del prodotto finito di 187,5 dollari.

“E gli altri 181 dollari come si giustificano? Con i costi dei componenti, che arrivano nelle fabbriche cinesi da Taiwan (per 20,7 dollari), Germania (16,1 dollari), Corea (80 dollari), dagli stessi Stati Uniti (22,9 dollari) e da altri Paesi (41,3 dollari). Non solo, gli stessi semilavorati che servono per produrre un iPhone sono composti da parti provenienti a loro volta da altri Paesi ancora. Si viene a creare così, per l’iPhone ma anche per gli altri beni industriali, una fitta rete di scambi internazionali, una mappa tracciata dalla convenienza a importare un bene o un servizio piuttosto che a realizzarlo in casa”.

Per questo motivo, come ha spiegato Confindustria, i vantaggi della moneta debole da un’eventuale svalutazione vengono annullati dai processi di internazionalizzazione e delocalizzazione produttiva.

Così nel caso di Grecia, Portogallo, Spagna e Italia la svalutazione competitiva non favorirebbe più l’export.

“Il vantaggio derivante da una svalutazione sarebbe inficiato dall’aumento del prezzo dei componenti importati. Come è successo in questi anni con la svalutazione della sterlina. I miglioramenti competitivi sono stati nettamente inferiori alle attese. Figuriamoci cosa succederebbe in Paesi come la Grecia, dove non c’è una solida tradizione manifatturiera né industriale per poter produrre internamente i beni non più importati. Un’altra ipotesi sarebbe quella di compensare esportando servizi, come il turismo per esempio. E la Grecia, come la Spagna, in questo sono maestre. Con e senza euro”.