Mancanza di capitali e Stato “ingerente”: la crisi del capitalismo in Italia

Pubblicato il 22 Marzo 2010 - 16:34| Aggiornato il 11 Maggio 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il problema del capitalismo italiano è la carenza di capitali. Si tratta di un problema vecchio per l’economia italiana, e rispetto al 1994 la situazione è rimasta abbastanza statica. Nel 2009 le società quotate nella Borsa di Piazza Affari sono stati 322, nel 1994 erano 256. In Francia, ad esempio, le società quotate sono 696.

Il movimento di capitali delle società quotate crea una quota di ricchezza, che equivale al 30% del Pil nazionale. Giusto per avere un confronto, negli Stai Uniti il valore tra Borsa e Pil equivale al 103%, e bisogna considerare che di mezzo c’è stata la crisi dei mercati finanziari.

Il paragone con gli Stati Uniti, che hanno una lunga tradizione di investimenti in Borsa, potrebbe essere ingeneroso per chiunque. Ma l’Italia è rimasta indietro anche rispetto agli altri Paesi europei: in Francia i mercati azionari hanno prodotto nel 2009 il 74% del Pil, in Germania il rapporto Borsa/Pil si attesta al 40%.

Il divario tra l’Italia e la Germania aumenta se si prendono in considerazione le maggiori 150 società quotate in Borsa: in Italia hanno una capitalizzazione media di 696 milioni di Euro, in Germania il valore “schizza” a 1.611 milioni. Dunque, le società italiane hanno in media quasi un terzo delle disponibilità finanziarie che hanno invece le società tedesche.

Lo scarto diventa ancora più evidente sui dati che riguardano le prime 40 società quotate: in Italia la media dei capitali di ciascuna azienda si attesta a 769 milioni , in Germania la media è di 12.524 milioni per società, in Francia il dato sale fino a 17.157 milioni.

Rispetto agli altri Paesi presi in esame, l’Italia è indietro anche per quanto riguarda la divisione settoriale delle società quotate. In Italia l’80% è costituito da servizi di pubblica utilità e banche (che sono il 35% del totale). La “mano” dello Stato sull’imprenditoria e sul capitalismo italiano si evince da un altro numero: il 69% delle società quotate è pubblica o è nata come pubblica (ad esempio Autostrade e Telecom). Il 41% delle aziende ha ancora azionisti di riferimento pubblico, siano essi lo Stato o gli Enti locali.

In Francia e Germania, tra le prime 40 società quotate, ci sono per esempio Luis Vuitton, Adidas, Danone,Hermes, tutti “giganti” privati che fanno riferimento ai settori dell’abbigliamento e dell’alimentare.

In Italia, inoltre, non ci sono in Borsa “colossi” imprenditoriali nei settori in cui la produttività fa registrare notevoli crescite negli ultimi anni: negli indici di Piazza Affari sono praticamente inesistenti grandi imprese che fanno riferimento al mercato tecnologico, a quello informatico e a quello farmaceutico. Settori che negli Stati Uniti rappresentano il 39% delle società quotate.

Un altro motivo per cui gli imprenditori italiani fanno fatica a reperire capitali risiede nel fallimento del sistema dei bond: vendere obbligazioni aumenterebbe la liquidità a disposizione delle imprese, ma il sistema è fallito dopo i “crac” di Cirio e Parmalat. Negli Usa, ad esempio, alcune aziende sono cresciute proprio grazie all’azionariato: Google, Amazon o Cisco sono diventati dei giganti proprio grazie agli investimenti degli azionisti.