Austerity, un dubbio monta a Bruxelles. L’Europarlamento si spacca

Pubblicato il 23 Gennaio 2013 - 13:45| Aggiornato il 16 Maggio 2022 OLTRE 6 MESI FA

BRUXELLES – Austerity, la medicina delle riforme lacrime e sangue, sta dando crisi di rigetto anche all’Europarlamento: l’unanimità con cui veniva imposta la ricetta del risanamento obbligatorio dei conti pubblici nei paesi membri, è scomparsa, appartiene ormai a un’altra stagione politica. La Commissione Economica del Parlamento europeo si è infatti spaccata a metà su una risoluzione che chiedeva una “strategia alternativa” alla gestione del risanamento: la risoluzione non è stata accolta per un pelo, anzi per un voto, 21 contrari contro 19 favorevoli.

Non si può dire che una politica più elastica si sia affermata e  si prepari a sostituire i vincoli del fiscal compact, né che siano state accolte le proteste di chi sostiene che non si possa crescere e nello stesso tempo risanare. Diciamo che viene registrato l’inizio di un trend diverso, l’esordio di una programmazione economica che sarà forse meno rigida ma che al momento appare confusa, incerta. Se il vecchio ha esaurito le sue carte, il nuovo esita ancora a pescare dal mazzo.

Anche se, il partito del no austerity può attingere conforto e validazione alla sua teoria, dagli ultimi pronunciamenti del Fondo Monetario Internazionale, con la direttrice Christine Lagarde che ha fornito giustificazione intellettuale e peso politico alle perplessità sull’irreversibilità delle misure di austerity, fino al punto di stoppare in anticipo i piani rigoristi di Schauble in Germania.

Prendiamo il voto alla Economic and Financial Affairs Commission. La risoluzione è stata presentata dalla socialista portoghese Elisa Ferreira: in linea con lo schieramento di appartenenza, proponeva di allentare la presa sui conti pubblici. Bene, tra i 21 no c’è anche quello di Ferreira, insieme a quello degli altri deputati socialisti e verdi. La relatrice portoghese non ha condiviso gli emendamenti e il restyling alla sua risoluzione che è giunta in Commissione troppo modificata per poterla riconoscere.

Francesco Ninfole (cui dobbiamo la copertura dell’importante notizia, peraltro assente sui maggiori quotidiani nazionali) su Milano Finanza assicura che le negoziazioni andranno avanti. Intanto, però, un dato è certo: all’Europarlamento le parole e le strategie economiche di un Mario Draghi non verranno più accolte come oro colato, una resistenza ben più estesa di una semplice fronda parlamentare si sta organizzando e attraversa trasversalmente le famiglie politiche europee. Il presidente della Bce, infatti, continua imperterrito sulla linea che, fino ad ora, gli è valsa la palma di salvatore dell’euro e l’ha ribadito con forza ancora ieri.

Queste le sue parole: “Sono consapevole che per tante persone la situazione economica personale può essere molto difficile. Ma non c’è nessuna alternativa al percorso di riforme”. Quindi chiusura totale a cambi di indirizzo sul risanamento. Per essere ancora più chiaro: “Le riforme non sono prese per far piacere a Bruxelles, Francoforte, Washington, ma per il profondo interesse dei Paesi interessati e di tutta l’area euro. Esse consentiranno alle economie di funzionare meglio, con più efficienza e anche più equamente”.