Il Giornale: “Colpo di Stato”. Sallusti: “Il coniglio e i piccoli uomini”. Feltri: “Vendetta nelle urne”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 28 Novembre 2013 - 14:00 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – “Colpo di stato” titola il Giornale che giura vendetta: “Il leader di Forza Italia è riuscito a trasformare il suo giorno più duro in una promessa di riscossa”. In prima pagine due editoriali, uno di Alessandro Sallusti (“Il coniglio e i piccoli uomini”), l’altro di Vittorio Feltri (“Vendetta nelle urne”).

La prima pagina del Giornale

La prima pagina del Giornale

Scrive Vittorio Feltri:

Ero convinto di conoscere a fondo Silvio Berlusconi, es­sendomi occupato di lui fin dal 1973, quando stava per ul­timare Milano 2. Invece mi accorgo, con grande sorpresa, di non conoscer­lo neanche superficialmente. Lo osser­vo da lontano e ogni giorno egli mi stu­pisce per come vive l’epilogo della sua avventura (meglio dire disavventura) parlamentare. Non so dove trovi la for­za per sopportare ciò che non è esage­rato definire martirio, se si considera il modo in cui i suoi avversari, tra i quali numerosi ex amici (cortigiani, benefi­ciati), lavorano per eliminarlo: sem­bra che godano a stringere lentamente – molto lentamente- la vite della garro­ta. Non si accontentano di farlo fuori; pretendono di trasformare- e ci riesco­no- l’esecuzione in uno spettacolo del­l’orrore. Altro che macchina del fango. Quello che usano contro di lui è un im­ponente strumento di tortura affidato a un esercito di sadici, ciascuno dei quali svolge il suo compitino (…) Non s’illudano gli aguzzini – e i loro mandanti – di farla franca. Uccidere un nemico che ha tanti amici significa ri­schiare il peggio: di inasprire la batta­glia e magari perderla.

Alessandro Sallusti parla di Piazzale Loreto bis:

Piccoli uomini, senza il senso della Storia, della giustizia e della liber­tà hanno messo in scena una Piaz­zale Loreto bis, aggiungendo ver­gogna a vergogna nazionale. Il piccolo presi­dente Napolitano, detto dagli amici «il coni­glio », si è goduto lo spettacolo al riparo della fortezza del Quirinale durante la giornata, per poi festeggiare in serata all’Opera di Ro­ma. Ha mandato avanti, il coniglio, un altro piccolo uomo suo servitore, che guarda ca­so è un fresco ex pm. Si chiama Pietro Gras­so, da poco è presidente del Senato. Il Gras­so ha diretto il plotone di esecuzione violan­do anche le ultime norme che erano rimaste da violare, così, tanto per non farsi mancare nulla. Gli altri non meritano neppure cita­zione, tanto piccoli uomini si sono dimostra­ti. Faccio un’eccezione per il piccolo Schifa­ni, il più infido tra i traditori di Forza Italia. Nei suoi mielosi interventi dentro e fuori l’aula per l’ipocrita difesa di Berlusconi, ha detto di sentire un «dovere morale». Dichia­razione fuorviante perché potrebbe far cre­dere ai più distratti che lui sappia che cosa sia la morale. Meglio avrebbe fatto a dire: fac­cio così perché sono «uomo d’onore». E come sempre,quando c’è da fare scorre­re sangue senza nulla rischiare, non poteva­no mancare gli intellettuali. In questo caso si chiamano “senatori a vita”,tipo l’architet­to Renzo Piano e lo scienziato Carlo Rubbia. Parliamo di due amici di Napolitano (tanto amici che ce li farà mantenere a noi fin che campano)che l’Italia sanno a malapena do­ve è sulla cartina geografica. Ma hanno un pregio persino superiore ai loro meriti acca­demici: sono rigorosamente di sinistra. Ieri, per la prima volta da quando sono stati no­minati, hanno onorato (si fa per dire) il loro lauto vitalizio e si sono presentati in aula per partecipare alla mattanza e da domani, or­gogliosi, racconteranno l’avventura e l’emo­zione alle dame dei salotti radicalchic, sor­seggiando champagne tra una tartina di ca­viale e l’altra. Questa è l’Italia che vorrebbe riscrivere la storia: due compari siciliani, Grasso e Schi­fani (fino a pochi mesi fa il primo pratica­mente indagava sul secondo), quattro rim­bambiti grillini ( che se Berlusconi non aves­se governato a lungo mai e poi mai avrebbe­ro avuto la giusta libertà di dire e fare ciò che hanno detto e fatto negli ultimi anni), un centinaio di senatori di sinistra così ipocriti e vigliacchi da non fare scattare neppure l’applauso all’annuncio della decadenza. Se l’avessero fatto, li avrei rispettati. Ma in tal caso si parlerebbe di uomini, non di pic­coli uomini.