Camelia Matatia: l’Anna Frank italiana era vicina di casa di Mussolini

di Redazione Blitz
Pubblicato il 17 Luglio 2014 - 06:00 OLTRE 6 MESI FA
Camelia Matatia: l'Anna Frank italiana era vicina di casa di Mussolini

I Vicini Scomodi, libro di Roberto Matatia sulla triste storia della sua famiglia (Giuntina, 10 euro)

ROMA – Camelia Matatia, l’Anna Frank italiana. Nel libro I Vicini Scomodi, Roberto Matatia ha ricostruito la vicenda della sua famiglia, i Matatia, una famiglia di ebrei che avevano una villa accanto alla casa al mare di Benito Mussolini (per questo “i vicini scomodi) e che fu sterminata dai nazisti, con la collaborazione determinante dei fascisti repubblichini.

Nella storia dei Matatia spicca la tragedia di Camelia, che aveva diciassette anni quando riuscì a scrivere una lettera struggente al suo fidanzatino Mario, prima che i repubblichini la consegnassero ai nazisti, destinazione Auschwitz.

Lettera scritta il primo dicembre 1943, indirizzata a Mario. Scrive Oliviero La Stella sul Messaggero:

“Colpisce la calligrafia accurata, che non tradisce le circostanze drammatiche in cui la lettera è stata in tutta fretta vergata. I fascisti sono piombati in casa per arrestare Camelia Matatia, la madre Matilde e il fratello maggiore Beniamino. Sono ebrei, si sono rifugiati a Savigno, un paese vicino a Bologna, ritenendolo un posto sicuro. I miliziani repubblichini hanno detto che verranno portate in un campo di lavoro e hanno concesso ai tre qualche minuto per prendere abiti e oggetti essenziali. Camelia ne approfitta per scrivere a Mario. Ma quella dei repubblichini è una menzogna: i Matatia sono destinati ad Auschwitz”.

Scrive Camelia Matatia nella lettera al “moroso” Mario:

«Il focolare della mia casa ormai è spento. Però non ho paura, sai? So di non avere nulla da rimproverarmi se non di essere nata con un marchio disgraziato. E di questo io non ho colpa. Sarei stata tanto felice di rivederti, ma io non ho mai avuto troppa fortuna. Forse sarebbe stato troppo bello, l’ho desiderato tanto! Il nostro passato è stato così breve, era colmo di tanto azzurro come un lembo di cielo. Ma al di là c’era l’ignoto».

Parole d’addio di una persona che sta per andare a morire, in una lettera buttata da un camion in corsa, con la remota speranza che arrivi al destinatario.

Eppure andava tutto a gonfie vele nel 1937, quando Nissim Matatia, ebreo originario dell’isola jonica di Corfù, grazie all’attività di venditore di pellicce a Forlì si era potuto permettere l’acquisto di uno status symbol come una villa a mare a Riccione, accanto a quella di Mussolini. Vacanze e relax con moglie e tre figli. Ma Nissim non aveva fatto i conti con la polizia, che già un anno prima dell’approvazione delle leggi razziali, fa fortissime pressioni su Matatia perché se ne vada più lontano possibile dal suo illustre vicino di casa: il Duce non può trascorrere le sue giornate di mare romagnolo accanto a una famiglia di ebrei.

Nissim resiste finché nel 1939 la sua casa al mare non sarà espropriata dal Comune di Riccione in cambio di pochi spiccioli. Il pellicciaio si accorgerà troppo tardi di combattere una battaglia impossibile, mentre la vita degli ebrei in Italia diventa di anno in anno più impossibile. Finché dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la nascita della Repubblica Sociale Italiana, iniziano le deportazioni di massa verso i campi di concentramento.

I Matatia scappano verso Bologna, ma neanche lì riescono a sfuggire al loro destino. Nissim e il figlio maggiore Roberto vengono presi nel capoluogo felsineo e mandati ad Auschwitz: non faranno più ritorno. Restano Camelia, il fratello Beniamino e la madre Matilde, che hanno trovato rifugio a Savigno, paesino vicino al tristemente famoso Marzabotto. I miliziani fascisti li scovano e li arrestano, dando loro pochi minuti per raccattare vestiti e oggetti personali. È in quegli attimi concitati che Camelia scrive la sua lettera a Mario, con una calligrafia sorprendentemente ferma e curata.

Dopo due mesi di pellegrinaggio per le carceri del Nord Italia, i tre Matatia arrivano ad Auschwitz, dove madre e figlia vengono portate subito nelle camere a gas. L’unico a sopravvivere è Beniamino: sa suonare la fisarmonica e ai nazisti piace la musica. Ma nel campo di concentramento contrae la tubercolosi che lo ucciderà qualche anno dopo la Liberazione.

Nessuno avrebbe potuto raccontare la tragica storia dei Matatia se qualcuno non avesse raccolto la lettera che Camelia aveva lanciato dal camion, qualcuno che poi fece avere questa lettera a Mario.

Passano quarant’anni e Mario entra in un negozio di pellicce a Faenza. Lo manda avanti Roberto Matatia, nipote di Eliezer, il fratello di Nissim Matatia, emigrato in Argentina per sfuggire alla Shoah. Mario gli dà una cartellina gialla: dentro ci sono tutte le lettere di Camelia che lui ha conservato per tanti anni. Scrive La Stella

“Dice poche parole, prima di scomparire: «Tra di noi ci fu un amore da adolescenti, innocente e puro, che comunque ha segnato tutta la mia vita. Io sto invecchiando e voglio che le conservi un Matatia».
Sollecitato dalle lettere di Camelia, questa Anna Frank romagnola, Roberto Matatia ha speso anni per ricostruire le vicende di quella parte della famiglia cancellata dalla Shoah. Il nonno e il padre, infatti, ne parlavano assai poco, per quella rimozione che è frequente nelle famiglie ebree toccate dall’immane tragedia. Ne ha tratto un libro, I vicini scomodi, che è stato appena pubblicato dalla casa editrice Giuntina (112 pagine, 10 euro)”.