Giornali italiani, ritorno della libertà di stampa, un libro che è un romanzo: 4 anni chiave della storia d’Italia

di Marco Benedetto
Pubblicato il 14 Febbraio 2021 - 08:06 OLTRE 6 MESI FA
Giornali italiani, ritorno della libertà di stampa, un libro che è un romanzo: 4 anni chiave della storia d'Italia

Giornali italiani, ritorno della libertà di stampa, un libro che è un romanzo: 4 anni chiave della storia d’Italia

Giornali italiani, il ritorno della libertà di stampa, quattro anni convulsi, tormentati, fra la caduta del Regime fascista e la Costituzione. Tutto in un libro di 619 pagine. Scritto con il distacco del grande cronista e dello storico da Giancarlo Tartaglia.

“Ritorna la libertà di stampa” è il titolo del libro che giornalisti e politici e liberi cittadini dovrebbero leggere con attenzione e meditare.

È un libro da conservare e rileggere quando si volesse cercare l’origine di quello che accade oggi nel nostro mestiere. Pubblicato dal Mulino, sigla prestigiosa, il volume segue di un anno un altro lavoro di Tartaglia su Alberto Bergamini. Sono opere di grande importanza per chi vuole ricostruire un pezzo della memoria del nostro Paese.

Conosco Tartaglia da 40 anni. Lui esordiva come direttore e super tecnico in materia contrattuale e sindacale della Federazione della Stampa, il sindacato unitario dei giornalisti. Io ero agli inizi della metamorfosi da giornalista in amministratore di giornali.

Abbiamo agito per anni su fronti opposti. Ma con Tartaglia non potevi litigare. Come non potevi con Giancarlo Zingoni, suo grande omologo di fronte Fieg, l’associazione degli editori. Per loro la formula era legge, la norma era regina.

La Fnsi e l’Ordine, racconto di due storie molto diverse

La Fnsi è forse la cosa meglio riuscita ai giornalisti italiani. Nel senso che hanno evitato la sottomissione alle grandi centrali sindacali. E hanno impedito l’infiltrazione delle sigle al loro interno. Non è che la Fnsi sia un monoblocco ideologico. Anzi litigano il giusto. Ma presentandosi come sindacato unitario alla controparte, hanno risparmiato al settore la rincorsa di rivendicazioni fra le sigle sindacali dei lavoratori poligrafici. Che ha quasi ammazzato i giornali fino alla crisi di internet.

La rinascita della Fnsi dopo il ventennio fascista è raccontata nei dettagli in uno dei capitoli finali del libro. Va in parallelo con la pagina sull’Ordine dei giornalisti. Una pagina che si conclude nel racconto di Tartaglia al 1947. Vi si anticipa solo che sarebbero passati 16 anni prima che la legge istitutiva dell’Ordine fosse promulgata. E si arriva a 20 prima che si tenessero i primi esami.

Perché tanto tempo? Se vogliamo integrare la ricostruzione di Tartaglia con l’esperienza dell’Italia repubblicana dobbiamo fare una amara constatazione.
I partiti del dopoguerra, formati da uomini e donne che in buona parte avevano combattuto il fascismo e lottato nella guerra di liberazione, non volevano l’ordine. Troppo viva era la memoria delle sofferenze inflitte dal fascismo attraverso l’Albo, genitore dell’Ordine.

Ordine strumento repressivo per giornali e giornalisti

Avevano ragione. L’Ordine è uno strumento repressivo sempre pronto, una delle poche istituzioni in cui l’Italia possa vantare un primato a livello mondiale. In negativo. Una mia piccola esperienza diretta me lo ha di recente confermato. Il fallimento del M5S è anche nell’avere mancato la promessa di abolirlo.

Furono i giornalisti a insistere per il ripristino. Questo da solo mi basta quando sostengo che i giovani giornalisti di oggi sono di gran lunga meglio di quelli di ieri.

Ma c’è di più e di meglio nel libro di Tartaglia.
Le pagine sulla nascita dell’articolo 21 della Costituzione, la sua evoluzione da articolo 16, il tormento del sequestro preventivo, sono da conservare. Dovrebbe impararle a memoria Laura Boldrini.

Per chi si appassiona alla libertà di stampa, come il torinese avvocato Alberto Mittone, che conserva tutti i numeri dellEspresso, leggere Tartaglia è come leggere un libro di grandi avventure.

Si procede in parallelo con il ritorno della democrazia in Italia. Il 25 luglio, i 45 giorni, l’8 settembre, il Regno ridotto alla Puglia. Poi via via, la riconquista. Con i tedeschi al posto dei Mori e Alexander al posto di Isabella.

Il 2% della pubblicità Rai all’Inpgi per sostenere i giornali

Veri i riferimenti all’oggi. La liquidazione dell’Istituto Luce: doveva essere compiuta nel 1945, si è tanto protratta che è ancora qua. 

Il prezzo in edicola dei giornali: l’aumento a 3 lire fu visto nel 1945 come eccessivo. Tradotto in euro, farebbe 11 centesimi di oggi. I giornali costano più di un euro e mezzo. Forse qualche riflessione andrebbe fatta sul fronte dei costi. 

L’idea di integrare le entrate dell’Inpgi, Istituto previdenziale e pensionistico dei giornalisti, con il 2 per cento delle entrate del gettito pubblicitario della Rai.

Una cavalcata emozionante, vista nella prospettiva da Sud a Nord. Il che ci risparmia le vicende umilianti del collaborazionismo dei giornalisti di Salo.

Poi il passaggio sulla epurazione. Blanda e alla fine quasi inefficace. Il racconto di Tartaglia è sobrio e asettico. Gianni Granzotto, da enfant prodige 25 enne direttore del Lavoro di Genova nel 1940 a presidente degli editori nei primi anni ‘70. per fare un nome, è trattato con garbo.
Asettico il giudizio sulla epurazione, come giusto che sia in un libro che è un documento di record, come dicono gli americani.

Sono cresciuto professionalmente fra Genova e Torino e ne ho conosciuto e apprezzato e disprezzato tanti di ex epurati. Alla fine aveva trovato una umile occupazione di reporter dalla Questura anche un ex informatore dell’Ovra. Umile, silenzioso, laborioso e disperatamente semi analfabeta.
Ma doveva essere così, sull’onda della amnistia promulgata dal guardasigilli Palmiro Togliatti.

Grazie a Togliatti non siamo finiti come l’Iraq

Per anni in tanti l’abbiamo vista come un tradimento. Oggi se consideriamo il prezzo pagato dall’Iraq alla purezza della repressione post Saddam, ancora una volta dobbiamo ringraziare la lungimiranza di Togliatti. Sarà una coincidenza che è nato a Genova?

E poi diciamo pure che i partiti usciti dalla clandestinità e dalla repressione fascista erano poveri di quadri competenti. I reduci dal fascismo erano ben disponibili a farsi arruolare con disciplina.

Forse sul mio entusiasmo influisce un fatto personale. Che molti dei nomi che popolano le pagine di “Ritorna la libertà di stampa” sono nomi corrispondenti a astri che brillavano nel firmamento del giornalismo dei miei vent’anni. Alcuni li ho poi conosciuti. Di altri ho solo sentito parlare. Ad esempio ho solo sentito parlare e bene di Giorgio Pini, che fu direttore del Giornale di Genova negli anni ‘30. Ancora 30 anni dopo il ricordo di Pini a Genova giustificava la sentenza assolutoria del tribunale a dispetto del posto di sottosegretario agli interni di Salo.

In quell’edificio, dove si stampava il Giornale di Genova, trent’anni dopo, si realizzava un settimanale dove entrai dal sottoscala. (Piccola nota. Mezzo secolo passa e mi trovo nella redazione della Komsomolskaja Pravda a Mosca. Un tuffo al cuore: stesse scrivanie, stesse poltrone, stile gusto architettura superavano le barriere della politica).

Mi sono rimaste impresse le parole di lode per Pini dette dal cassiere, il mitico e mite rag. Biagioni. Come tutti gli amministrativi Biagioni detestava i giornalisti. Non per le loro opere ma per la loro arroganza e ancor più la loro impunità.

Era il 1965. Una recessione così non sapete nemmeno cosa sia. Chiudevano i giornali, non c’era la cassa integrazione. Domandai a Biagioni come fosse “una volta”. Rispose: “Licenziavano un po’ di fattorini, poi arrivavano i soldi da Roma e tutto tornava come prima”.

Ma la maggior parte dei giornalisti rievocati da Tartaglia non era della pasta di Pini.
Biechi opportunisti, spudorati voltagabbana, arti in cui molti di noi eccellono. Mille anni di obbedienza papale ci hanno insegnato che è preferibile tradire la nostra coscienza piuttosto che finire sul rogo. Anche se oggi l’impressione è che ci siamo tanto appassionati al gioco che adeguarci ci viene proprio spontaneo.