Melito, qui due parroci assolvono il branco: “Lei se l’è cercata”

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 12 Settembre 2016 - 13:35 OLTRE 6 MESI FA
Don Benvenuto, parroco di Melito di Porto Salvo

Don Benvenuto, parroco di Melito di Porto Salvo

REGGIO CALABRIA – A Melito di Porto Salvo, paesino di poco più di 10 mila anime nel reggino, ci sono due pastori che con ogni probabilità devono aver frainteso il cristiano ‘porgere l’altra guancia’. Due pastori che tra il gregge e i lupi giustificano e assolvono i secondi. Singolare situazione se non fosse che i due pastori in questione sono pastori di anime, parroci, che nelle pubbliche dichiarazioni, tra una ragazzina violentata e un branco di stupratori siedono al fianco del branco.

“La bambina – scrive l’inviato della Stampa Niccolò Zancan -. ‘Un metro e 55 per 40 chili’, c’è scritto nelle carte dell’inchiesta. È della bambina che stanno parlando. ‘Se l’è cercata!’. ‘Ci dispiace per la famiglia, ma non doveva mettersi in quella situazione’. ‘Sapevamo che era una ragazza un po’ movimentata’. Movimentata? ‘Una che non sa stare al posto suo’. Arriva in piazza il parroco Benvenuto Malara, va davanti alle telecamere: ‘Purtroppo corre voce che questo non sia un caso isolato. C’è molta prostituzione in paese’”. Prostituzione?!?!

Val la pena ricapitolare. La vicenda è quella di una bambina violentata per tre anni di seguito. Ed anche chi ha fatto voto di castità dovrebbe saper distinguere tra prostituzione e stupro, come si distingue il grano da loglio. L’hanno violentata in nove, a turno e insieme. Tenendola ferma per i polsi, e poi obbligandola a rifare il letto. “C’era la coperta rosa”, ha ricordato la vittima nelle audizioni con la psicologa. “E non avevo più stima in me stessa. Certe volte li lasciavo fare. Se mi opponevo, dicevano che non ero capace. Mi veniva da piangere. Mi sentivo una merda”. I 9 andavano a prenderla all’uscita della scuola media Corrado Alvaro, con la lettera V dell’insegna crollata. È sulla via principale, proprio di fronte alla caserma dei carabinieri. Caricavano la bambina in auto e andavano al cimitero vecchio, oppure al belvedere o sotto il ponte della fiumara. Più spesso in una casa sulla montagna a Pentidattilo, dove c’era il letto. Un orrore iniziato quando la bambina aveva 13 anni.

In questa cornice don Malara non trova di meglio da dire che “c’è molta prostituzione”. Dunque  a suo pensare la violenza, lo stupro su una donna nascono e si identificano con la prostituzione, la donna è, se non si contiene, meretrice per natura, incunabolo di peccato. Gli islamisti rigorosi non potrebbero dir meglio… Ma il parroco, tra le poche, pochissime persone che hanno preso di parte alla fiaccolata di solidarietà, sì perché nel paese hanno organizzato una fiaccolata disertata dai più, si trova in ottima compagnia. Sulla sua stessa lunghezza d’onda c’è infatti un altro ‘uomo di Chiesa’: un altro parroco, al secolo Domenico De Biase: “Sono tutte vittime – dice – anche i ragazzi. E poi, io credo che certe volte il silenzio sia la risposta più eloquente”.

Da profani, da laici, viene da pensare che i due abbiano frainteso il concetto di perdono cristiano. E’ vero che anche i ragazzi sono vittime, ma in un senso molto molto lato: è vittima chi tra loro è figlio di un delinquente locale ed è vittima chi magari è cresciuto in una situazione disagiata. Ma né l’una né l’altra fattispecie rendono queste ‘vittime’ meno colpevoli dei loro terribili ed odiosi crimini, delle loro violenze e, lo rammentino i parroci, persino dei loro peccati.

Anche il procuratore De Raho ha riconosciuto che “questo territorio sconta un ritardo costante. C’è una mancanza di sensibilità. Anche i genitori sono stati omertosi. Tutti sapevano”. Una fotografia che diventa una sentenza se in una realtà locale, ancora legata a vecchie tradizioni e abitudini, oltre che a discutibili gerarchie sociali è il parroco a dire che “certe volte il silenzio è la risposta più eloquente”. Sempre che questo silenzio non sia consigliato come la miglior cosa ai parroci dalla circostanza che uno dei peccatori è figlio di un boss.