Protezione Civile: Fatevi casa con uscita alta, garage con..E no outlet in fiume

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 12 Novembre 2014 - 13:42 OLTRE 6 MESI FA
Foto Ansa

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GENOVA – Aprire uno sfasciacarrozze nel greto di un torrente e andare a vivere in un seminterrato non lontano da un fiume sono scelte poco sagge. Scelte di certo pericolose che diventano potenzialmente suicide quando una perturbazione particolarmente violenta si avvicina. Basterebbe probabilmente il buon senso per comprenderlo ma in Italia, dove nei letti dei fiumi si costruiscono i palazzi, serve l’intervento del capo della Protezione Civile per spiegare quelle che altrove sono non solo ovvietà ma anche obblighi di legge.

Eccolo allora il mini vademecum che Franco Gabrielli, capo della protezione civile, ha affidato alle pagine di Repubblica. In primis, come detto, è bene non “aprire un deposito di sfasciacarrozze nel greto del torrente”. Entella in questo caso. Due: “non si deve andare a vivere in un seminterrato”.

E poi sarebbe saggio imparare ad abitare in una casa con un’uscita dall’alto, in modo da garantirsi una via di fuga in caso di allagamenti; e cominciare a dotare i garage di saracinesche al posto delle porte basculanti, un semplice accorgimento che garantirebbe la possibilità di aprire questi locali anche quando sono invasi dall’acqua.

Le indicazioni di Gabrielli sono rivolte in primo luogo ai liguri, protagonisti involontari delle cronache di questi giorni, ma valgono in realtà per tutti gli italiani. Come sottolinea Gabrielli infatti, sono oggi i liguri e i toscani soprattutto a dover “imparare a vivere con un rischio accettabile”, ma così devono fare “tutti gli italiani”.

Ma sono indicazioni che valgono anche per gli amministratori, locali e non, che “non dovrebbero, come hanno fatto, lasciar costruire l’Outlet della Val di Vara, e siamo nella vallata delle Cinque Terre, nel punto esatto dove il Vara è esondato”.

Il punto, come evidenzia ancora il capo della Protezione Civile, sta nella cultura della prevenzione e della legalità, cultura che in Italia manca del tutto. “Neppure se domani s’iniziassero ad allargare gli argini dei fiumi, ad abbattere le case a rischio, città e campagne sarebbero sicure. Il rischio caratterizzerà sempre il nostro Paese. E, comunque, domani non si inizierà a gestire bene il territorio: mancano la volontà politica e le risorse”.

E poco potrebbe descrivere meglio l’assenza di questa cultura nel nostro Paese della storia del “palazzo tappo”. La storia cioè, raccontata da Marco Imarisio sul Corriere della Sera, di un edificio costruito letteralmente nell’alveo di un torrente, il Chiaravagna:

“Nell’aprile del 1950 il geometra Giuseppe Muratore ottenne il permesso di costruire un cinematografo. L’area prescelta era di proprietà del Demanio e corrispondeva all’alveo del torrente Chiaravagna. Appena due mesi più tardi il geometra cambiò idea e presentò al Comune di Genova un progetto per la costruzione di un palazzo residenziale a cinque piani. L’edificio venne ultimato nell’inverno del 1953. All’epoca le cose almeno si facevano in fretta. Le fondamenta appoggiavano nel letto di quel rigagnolo, che ci scorreva sotto. Nel 1966, tredici anni dopo, il Genio civile si accorse che c’era qualcosa che non andava nell’esecuzione dell’opera, ritenuta ‘idraulicamente non idonea’, e reagì sdegnato chiedendo un adeguamento dell’affitto da pagare allo Stato. Muratore si ribellò. Dopo ingiunzioni e ricorsi la causa cominciò nel 1977 e si concluse nel gennaio del 2011. Nell’attesa c’erano state cinque esondazioni del Chiaravagna nelle quali l’edificio costruito interamente sul suo alveo ‘ha giocato un ruolo importante, se non fondamentale’. L’ultima, il 4 ottobre del 2010, fece un disastro, con danni stimati in 180 milioni di euro”.

Il palazzo padre di cinque esondazioni, nel letto del fiume dal ’53. E sono in Liguria di suoi fratelli ce ne sono, sempre nel corso o letto dei fiumi e torrenti, ben 270.