Dirigenti e direttori tutti “precari”, quanto bene farebbe alla Rai

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 26 Luglio 2012 - 14:59 OLTRE 6 MESI FA
Luigi Gubitosi (LaPresse)

ROMA – Il neo direttore generale Rai, Luigi Gubitosi, è tornato sui suoi passi e ha chiesto e ovviamente ottenuto che il suo contratto sia a tempo determinato, dura il tempo del Cda. Bravo lui, anche se un po’ tardivo. Bravo perché in un mondo normale gli alti dirigenti ad alto stipendio sono a tempo. E non per punirli ma per esaltare il loro lavoro  professionalità. Contrariamente a quanto pensano forme sciancate e diffuse di pauperismo bigotto l’alto stipendio è fratello siamese dell’incarico a tempo. L’uno legittima e rafforza l’altro: 650mila euro al direttore della Rai non sono tanti. Ma è una retribuzione e non uno stipendio a vita. Bene Gubitosi,  ma gli altri?

La scelta del dg di viale Mazzini dovrebbe essere vissuta non come una vittoria di chi per quel contratto si era indignato, ma come un esempio e un punto di partenza. La neo presidente Anna Maria Tarantola, riducendosi lo stipendio di circa il 20%, ha spiegato di aver voluto essere d’esempio per gli altri, e così dovrebbe essere anche per il contratto di Gubitosi.

Lo scrive anche Aldo Grasso sul Corriere della Sera di oggi (26/7/12): tutti i contratti degli alti dirigenti così come quelli dei direttori, dovrebbero essere a tempo determinato. E ha ragione Grasso, perché sarebbe nella natura stessa del ruolo apicale e dirigenziale quella di avere una scadenza, un mandato. Eppure, certamente, quello di Gubitosi resterà un caso isolato anche perché che i contratti dei dirigenti siano a tempo determinato lo suggerisce la logica, ma non lo impone certo la legge.

Diversi i motivi per cui i contratti apicali dovrebbero essere a tempo determinato, in primis per la differenza di compenso che hanno rispetto ai contratti più “bassi”: più soldi dovrebbe anche significare minor sicurezza del posto. Ma la questione economica può essere, paradossalmente, considerata secondaria rispetto alla natura stessa dell’incarico di vertice: guidare un’azienda o un settore di essa non può essere un lavoro, una missione a tempo indeterminato, così come non può esserlo la direzione di un telegiornale. E’ nella logica delle cose e, in alcuni casi, lo riconoscono anche i contratti. Per quanto riguarda i giornalisti, ad esempio, i direttori sono gli unici ad essere sempre licenziabili dall’editore ma, come si dice, fatta la legge trovato l’inganno, e così ci sono in Rai casi di ex direttori di testata assunti come caporedattori con funzioni di direttore che, una volta lasciato l’incarico, rimangono stipendiati finché pensione non li separi. Il caso più recente è quello di Augusto Minzolini che, quando fu chiamato alla guida del Tg1, chiese ed ottenne un contratto da caporedattore, e ora che direttore del Tg non è più, rimane comunque in carico a mamma Rai.

Talmente nella logica delle cose che i ruoli da dirigente comportino contratti a tempo che, nel privato, spesso questo si materializza. In fondo, se si viene chiamati alla guida di qualcosa per merito, azienda o telegiornale che sia, non si teme certo che una volta finito l’incarico si resti a casa. Solo nomine figlie di logiche diverse da quella meritocratica, ad esempio nomine politiche o “familistiche”, possono chiedere rapporti di lavoro a tempo indeterminato, per la paura che una volta cambiato il vento politico o venuta meno la famiglia, non si riesca più ad ottener la poltrona.

Bravo quindi Gubitosi, bravo anche se in ritardo e bravo anche se proveniente dal privato dove, doveva sapere, i direttori generali solitamente non sono a tempo indeterminato. La sua prima richiesta va considerata come una svista, peccato che in Rai non lo seguirà nessuno e anzi, tra i consiglieri c’è chi mugugna per il taglio di stipendio rispetto ai loro predecessori.