Redditometro: fa poco e male, ma si fa. Guarda redditi stendi evasione non si fa

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 9 Gennaio 2013 - 16:10 OLTRE 6 MESI FA
Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle Entrate (LaPresse)

ROMA –E se il redditometro fosse un grande e fracassone “fare ammuina”, insomma alzar polvere intorno all’evasione fiscale? E se l’evasione fiscale fosse vulnerabile, anzi più che vulnerabile, con altri strumenti? E se questi altri strumenti già ci fossero? Il primo è solo un sospetto, anche se sorretto da più di un indizio. La seconda è un’ipotesi ma non potrà mai essere smentita o confermata se qualcuno che governa non li usa davvero quegli strumenti. La terza è una certezza: gli altri strumenti ci sono e al loro confronto il redditometro fa la figura del fascio di luce di una candela che cerca per terra al buio al confronto di un riflettore acceso in una stanza.

Non diverrà l’Italia uno Stato di polizia con l’introduzione del redditometro. Sono inerpicate sugli specchi le motivazioni di chi questa tesi sostiene, buon ultimo Piero Ostellino sul Corriere della Sera. Ma non è nemmeno vero che il nuovo strumento nella mani del fisco sia la migliore delle soluzioni possibili, anzi rischia proprio di non essere la soluzione del problema. Problema gigante della gigantesca evasione fiscale che il redditometro schiverà più che affrontare. Attilio Befera, responsabile della Agenzia delle Entrate, si arrampica anche lui sugli specchi quando illustra le virtù insieme indolori e taumaturgiche del redditometro. Il redditometro sarà una gran rottura di scatole per molti che le tasse le pagano, un feticcio contro cui strilleranno molti che le tasse non le pagano e quel che è peggio una deviazione dalla sola via che combatte l’evasione fiscale e che non a caso nessuno in Italia vuol davvero percorrere.

Redditometro strumento grezzo e fallace. Redditometro strumento che pretende di rovesciare il contribuente a testa in giù per vedere, contare, presumere quante banconote e spiccioli gli escono dalle tasche. Quandso è possibile, è già possibile al fisco guardare, contare, sapere senza dover presumere nulla quanto c’è ed entra nel portafoglio del contribuente. Il Fisco può oggi sapere tutto del nostro reddito, a che gli serve controllare e presumere le nostre spese? E, se può sapere tutto e prima, perché si inventa e si attarda in un meccanismo di controllo della spesa presunta? Lo strumento, la chiave di volta per attaccare in modo probabilmente risolutivo l’evasione fiscale nel nostro Paese non è il redditometro, è invece un’altra e per trovarla basterebbe cambiare prospettiva: invece di inseguire le uscite dei contribuenti alla ricerca di discrepanze con quanto dichiarato si può dal 2013 sapere come e quanto e dove e quanto si forma il reddito di ciascuno. Perché non si fa? Perché il redditometro e non una lettera del Fisco che a inizio anno ti dice: egregio signore l’anno scorso lei ha incassato come reddito tale somma come a noi inequivocabilmente risulta, lo tenga presente nella prossima dichiarazione dei redditi? Perché non così visto che con l’Anagrafe Tributaria, il monitoraggio costante e totale dei conti e movimenti in banca si può?

Che senso ha, infatti, monitorare le spese a caccia di incongruenze quando si possono direttamente, e facilmente, conoscere le entrate? Ovviamente nessuna. Lo Stato, cioè noi è bene ricordare, possiede poi già lo strumento che gli consentirebbe di conoscere il reddito reale dei cittadini, si chiama anagrafe fiscale. Purtroppo però, per ragioni squisitamente d’opportunità politica e non di pianificazione economica, questa strada continua ad essere non battuta.

Stato di polizia tipico dei totalitarismi del XX secolo” scriveva Ostellino. Come gli ricorda sempre sul Corriere della Sera Salvatore Bragantini, la sua visione di uno Stato fatto di “perversi burocrati (che) odiano la società dei consumi, preferendo vederci girare su auto simil-Trabant e abitare in grigi casermoni popolari”, quella visione secondo cui uno “Stato che ci chiede in che casa viviamo vuole farci languire nelle catapecchie” è una visione falsa.

“In verità – scrive Bragantini -, lo Stato, che siamo noi (perciò si vota, se poi ci sbagliamo è colpa nostra), vuole capire se il nostro tenore di vita è coerente con il reddito dichiarato. Se non lo è, chiede di chiarire la discrepanza, richiesta che parrà stravagante solo a chi – non può essere Ostellino – ignori che l’evasione assomma a 120 miliardi, il 18% delle entrate fiscali. Il conto grava su tutti i contribuenti in regola”. Ostellino non è certo l’unico ad aver criticato il redditometro, e nemmeno il più autorevole.

Parlamentari ed ex uomini di governo hanno sostenuto e sostengono tesi non particolarmente dissimili, a tutti si può far notare che gli Stati Uniti, il paese patria del capitalismo, del libero mercato eccetera eccetera ha un suo strumento analogo al nostro redditometro, si chiama Automated Substitute for Return. Purtroppo però nemmeno i supporter del redditometro hanno la coscienza del tutto a posto. Abbiamo detto, è vero, che questo nuovo strumento è senza dubbio legittimo. Grazie a questo qualche “furbetto” cadrà nelle maglie del fisco e magari anche solo l’effetto deterrente che genererà porterà qualche euro nelle casse pubbliche. Vero, certo. Ma sicuramente poca cosa rispetto a quei 120 miliardi su citati. Recupererà insomma poco il redditometro e recupererà soprattutto da chi già le tasse dovute le paga in gran parte.  In più regalerà ai contribuenti anche qualche grana. In primis perché l’onere della prova finirà ora in capo ai cittadini che, di fronte alle contestazioni figlie del redditometro, dovranno avere scontrini e documentazione per dimostrare che non sono degli evasori. E poi perché, inevitabilmente, colpirà anche qualche innocente che dovrà sobbarcarsi le scocciature e le difficoltà del caso.

In verità una soluzione ci sarebbe, anzi già c’è. Definitiva probabilmente, certamente molto più efficace ma politicamente insostenibile. Si dovrebbe invece delle uscite guardare le entrate dei contribuenti. Per capire e conoscere il reddito di un singolo individuo è più semplice e logico controllarne le entrate invece che procedere a ritroso partendo dalle uscite. Impossibile? Niente affatto. L’anagrafe tributaria, cioè quel sistema per cui lo Stato vede tutti i movimenti bancari italiani già esiste, e sarebbe ovviamente questo il cuore di un sistema che controlla reddito e non spesa. Il grosso quindi è persino già fatto. Accanto all’anagrafe tributaria basterebbe poi mettere in funzione la tracciabilità totale dei pagamenti e i conti correnti dedicati per i professionisti e il gioco sarebbe fatto. Il fisco sarebbe pienamente a conoscenza dei redditi di tutti e potrebbe, magari a febbraio, quando i conti dell’anno passato sono chiusi e la dichiarazione di redditi è ancora da compilare, comunicare ai singoli contribuenti, per lettera, una cosa del tipo “guarda che tu quest’anno hai incassato 100, ecco la documentazione, tienine conto nel presentare la denuncia dei redditi…”.

Incredibilmente semplice ed efficace ma rigorosamente evitato questo cambio di approccio. Evitato non perché qualcuno ha stimato che non avrebbe dato i frutti sperati, ma evitato perché devastante in termini elettorali e, diciamolo pure, anche in termini sociali. Se il redditometro provocherà grane e qualche malumore non farà infatti perdere milioni di voti a chi l’ha varato. Il contribuente beccato potrà sempre far ricorso, dire che quei diecimila euro extra glieli ha prestati lo zio o un amico e comunque colpirà poche persone. Chi invece mettesse in funzione il sistema inverso si inimicherebbe automaticamente  milioni  milioni di persone e famiglie. Accertare davvero il reddito reale significa modificare la geografia politica e sociale, fiscale e di welfare di mezzo paese, se non di tre quarti di esso. Una modifica di geografia pari non a quella lenta e impercettibile della deriva dei continenti ma veloce e drammatica come quella di una maxi eruzione vulcanica. Milioni e milioni di contribuenti grandi, piccoli e medi che vedono accertato il loro reddito reale e su questo sono chiamati a pagare le tasse. Altro che recupero dall’evasione, sarebbe una rivoluzione civile.

Chi ci ha vagamente provato, l’allora  ministro Vincenzo Visco, fu definito con consenso generale “vampiro”. Giulio Tremonti corse prontamente ai ripari mandando in soffitta buona parte delle misure “vampiresche”, tra cui i conti dedicati per i professionisti. Non ci si poteva quindi certo aspettare rivoluzione fiscale e civile Berlusconi regnante. Si può forse con molta immaginazione sperare (o temere a seconda dei casi) che lo faccia il centrosinistra. Ma chi senz’altro avrebbe potuto e dovuto farlo era il governo dei tecnici che della ricaduta elettorale se ne poteva serenamente infischiare. Ma non lo ha fatto. Forse perché i partiti che poi in Parlamento avrebbero dovuto sostenerlo si sarebbero messi di traverso o forse perché, anche i tecnici, in fondo un po’ alle elezioni già pensavano. E così, invece che in uno Stato di polizia, ci troviamo ancora in uno stato che, almeno rispetto alla questione evasione, prendendo in prestito le parole di De André, “si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità”.