Roma: bottino il “ricarico” rifiuti, mense, parchi, immigrati. Pagato in tasse

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 3 Dicembre 2014 - 14:27 OLTRE 6 MESI FA
Roma: bottino il "ricarico" rifiuti, mense, parchi, immigrati. Pagato in tasse

Foto dal video delle intercettazioni

ROMA – Il bottino, molte decine se non centinaia di milioni di euro l’anno (“quest’anno amo fatto 40 milioni sui zingari” una delle conversazioni-bilancio intercettate e agli atti dell’inchiesta) è stato per almeno un decennio era ed è stato fino a ieri il “ricarico”. Ricarico, cioè il sovra costo imposto ad ogni appalto. Ricarico sui soldi pubblici spesi per la gestione rifiuti (l’Ama era tutta in mano ai “camerati”). Ricarico sui soldi pubblici da spendere per le mense scolastiche e quelle aziendali. Ricarico sulla gestione del verde cittadino, parchi e giardini. Ricarico sui soldi spesi per i campi nomadi, per i rom, per i rifugiati, per i centri di accoglienza (e qui a collaborare al ricarico c’erano anche quelli dell’altra giunta e sponda, quelli di sinistra).

Rifiuti, mense, accoglienza, verde pubblico…Tutto a Roma viene da molti anni fatto pagare di più, è l’effetto del ricarico. Viene fatto pagare di più perché tutto a Roma costa in più. Va messo in conto  il profitto della “mafia Roma” (così la chiama il magistrato Pignatone titolare dell’inchiesta). E vanno messi in conto i costi dell’impresa “mafia-Roma”, i soldi che l’impresa deve girare ai politici e funzionari della capitale. Tutto viene pagato di più, da anni, ancora oggi e massimamente durante gli anni di Alemanno sindaco. Tutto costa talmente di più a Roma che il Comune ha accumulato quattro miliardi debito.

Tutto costa di più a chi? Chi paga? Tutto costa di più, il bottino della “mafia Roma” lo pagano ogni mese i contribuenti, lo paghiamo in tasse. massimamente quelli di Roma che hanno le maggiori addizionali locali su Irpef e Irap. Un’enormità di tasse che però non sanano neanche di un po’ i bilanci comunali perché sulla spesa sociale del Comune (appunto mense, verde, accoglienza, rifiuti…) c’è, grava, pesa il ricarico di “mafia Roma” e dei suoi clienti. Spesa sociale, proprio quella che gli amministratori locali dichiarano intoccabile, proprio quella che se la tagli è “macelleria sociale”.

Macelleria sociale? Forse, anche. Ma toccare quella spesa e i suoi meccanismi potrebbe, sarebbe anche bonifica, bonifica legale. M5S inventa lo scandalo romano come figlio del “patto del Nazareno”. Un figlio nato dieci anni prima del padre…Ma M5S che pur si sta da solo portando allo squaglio una cosa di fondo di questo paese l’ha capita e denunciata: i soldi pubblici generano caste che generano spesa pubblica che genera cupole e mafie. Roma dimostra che su questo M5s ha ragione al di là dei suoi guai.

Macelleria sociale? Matteo Renzi sarà anche in calo di consensi e forse solo all’inizio del calo. Però quando dice che c’è “grasso” nella spesa di Regioni e Comuni dice quanto si legge nella storia di almeno dieci anni della capitale e nell’inchiesta “mafia-Roma”.

 Cooperative sociali, mense, rifiuti, aree verdi e campi nomadi. Erano questi i terreni di caccia di quella che è stata definita “Mafia Capitale“. E non nel senso che rubavano il piatto ai bambini delle scuole o le roulotte ai rom. Ma nel senso che, ovunque arrivasse un goccio di denaro pubblico, la Cupola romana metteva mani e naso.

Non è probabilmente questo l’aspetto principale, ma la considerazione è d’obbligo: mettendo mani, naso e soprattutto portafoglio, Massimo Carminati e i suoi per avere la loro “stecca” finivano, inevitabilmente, col gravare sul bilancio pubblico. La risistemazione dei campi nomadi come della aree verdi, e così come la gestione dei rifiuti e delle mense, era ed è infatti finanziata ed effettuata con denaro pubblico. Così come la “stecca” della nuova mala capitolina era, in sostanza, fatta di soldi pubblici.

Quegli stessi denari pubblici che costituiscono la spesa che da anni si cerca di tagliare e che mai si è riusciti a ridimensionare, e quegli stessi denari pubblici che, a Roma, hanno dato vita ad un buco di bilancio degno di uno stato sovrano.

“La mafia di Roma non spara, corrompe – racconta Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera -. Non intimidisce attraverso il controllo del territorio e gli attentati ma con il peso criminale di alcuni suoi esponenti, passati dal terrorismo nero alla malavita comune. Non ha bisogno di mettersi al servizio di politici e imprenditori, perché sono loro – politici e imprenditori – che si offrono per entrare negli affari e partecipare al banchetto degli appalti: raccolta e smaltimento dei rifiuti, accoglienza di profughi e rifugiati, verde pubblico, mense, piste ciclabili”.

A dispetto della matrice nera, che sembra essere l’elemento collante tra i principali attori della bruttissima vicenda appena svelata dagli inquirenti, gli uomini della Mafia Capitale non si facevano scrupoli e, come raccontano le intercettazioni, erano particolarmente legati a nomadi e campi rom che “rendono più della droga”. Rivelazione ed analisi economica fatta da Salvatore Buzzi, l’imprenditore che tesse i rapporti istituzionali di Mafia Capitale, come annota Bianconi. E Buzzi, intercettato, ammette: “Quest’anno abbiamo chiuso con 40 milioni di fatturato ma tutti i soldi li abbiamo fatti su zingari, emergenza alloggiativa e immigrati, gli altri settori finiscono a zero”. E in un’altra conversazione confessa: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? La droga rende meno”.

E se Mafia Capitale era quindi una sorta di multi servizi in grado di infilarsi in qualsiasi capitolo di spesa e appalto, la novità vera è che l’ex Nar ed ex della Banda della Magliana Carminati era riuscito a capovolgere il rapporto tra criminalità ed istituzioni. Non più la seconda al servizio delle prime, quando fraudolentemente amministrate. Ma come in una rivoluzione copernicana erano, a Roma, le istituzioni ad essere al servizio della malavita. Perché, come affermava Carminati: “Sulla strada comannamo sempre noi”.