Youssef Zaghba, “l’italiano” dell’Isis disse ai poliziotti: “Vado a fare il terrorista”. Ma il Tribunale…

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 7 Giugno 2017 - 12:18 OLTRE 6 MESI FA
Youssef Zaghba, "l'italiano" dell'Isis disse ai poliziotti: "Vado a fare il terrorista". Ma il Tribunale...

Youssef Zaghba, “l’italiano” dell’Isis disse ai poliziotti: “Vado a fare il terrorista”. Ma il Tribunale…

BOLOGNA – Youssef “l’Italiano”. Parafrasando il nome di quello che è stato forse il primo e certamente il più famoso e mediatico tagliagole dell’Isis che, in virtù del suo passaporto britannico, era chiamato “al britanni”, potremmo e anzi è già stato ribattezzato così Youssef Zaghba: “l’italiano”. Zaghba è il terzo terrorista dell’ultimo attacco a Londra ma, per i media e l’opinione pubblica del nostro Paese, è soprattutto il primo terrorista con passaporto italiano. Il primo terrorista nostrano. Sempre “attenzionato” – come si dice nel gergo tecnico – dalla Polizia e dai servizi del nostro Paese che, col senno di poi, avevano ottime ragioni per sospettare di lui. Ma mai ritenuto pericoloso dalla magistratura che anzi, dopo averlo fermato, lo ha lasciato andare restituendogli persino telefoni e pc dove erano stati trovati video e file inneggianti all’Isis e alla jihad. E ignorato, ad onor di cronaca, anche dalle autorità di Londra che dopo averlo controllato in aeroporto, e dopo aver ricevuto le informative su di lui dai nostri servizi, lo hanno lasciato andare non ritenendolo un pericolo.

Almeno fino a che sul London Bridge non ha ucciso sette persone insieme a due complici. La storia di Youssef l’Italiano, almeno quella nota alle polizie e ai servizi italiani ed europei, comincia nel marzo del 2016. Youssef ha 21 anni, è nato in Marocco nel gennaio del 1995 da madre italiana e padre marocchino, e si presenta all’aeroporto di Bologna – dove la madre vive dopo la separazione dal marito – con in tasca un biglietto per la Turchia. Il biglietto di sola andata, il bagaglio irrisorio (Youssef si presenta con solo uno zaino) e, soprattutto, la risposta che dà al controllo passaporti: “Vado a fare il terrorista”, insospettiscono gli agenti. Youssef non parte per la Turchia, viene fermato e interrogato. Portato nel posto di polizia e gli vengono sequestrati due telefoni cellulari, sette sim, il passaporto e la carta di identità italiane, dove risulta residente a Castello di Serravalle, 35 chilometri da Bologna, a casa della madre, che viene perquisita quel giorno stesso (e dove verrà sequestrato un iPad).

L’affermazione ‘vado a fare il terrorista’ viene raccontata anche come battuta e bravata corretta poi in ‘vado a fare il turista‘. Ma non serve certo un autodichiarazione a far scattare i sospetti. E infatti tra i file nelle memorie sequestrate a Youssef spuntano video inneggianti allo Stato Islamico e alla Guerra Santa. Materiale sufficiente per far scattare nei confronti del giovane italo-marocchino una denuncia per terrorismo internazionale. Ai video, al biglietto di sola andata, alle sette schede telefoniche si aggiunge poi la parola della madre che racconta di un padre divenuto violento dopo aver vissuto una svolta verso l’Islam radicale e si dice preoccupata per ‘certi’ discorsi fatti dal figlio. La madre insomma collabora con le autorità e, di fatto, conferma i sospetti degli inquirenti.

Eppure questo non basta. Non è sufficiente per la magistratura che dopo aver esaminato le carte non solo giudica gli elementi a carico di Youssef insufficienti e ne ordina di conseguenza la liberazione, ma gli restituisce anche tutti i suoi device senza aver nemmeno fatto copia del contenuto sospetto. Nonostante la magistratura lo lasci andare i sospetti su quello che diventerà il primo terrorista italiano rimangono. Ragion per cui, ogni volta che Youssef torna in Italia a trovare la madre, trova ad attenderlo all’aeroporto gli uomini della Digos che lo interrogano e soprattutto ne controllano i movimenti. Sospetti che come è prassi vengono condivisi con le intelligence dei paesi alleati, leggi Gran Bretagna, e inserite nel sistema di controlli europeo (Sis). Non è infatti casuale che a gennaio di quest’anno, al suo sbarco all’aeroporto londinese di Stansted, Youssef venga fermato dagli agenti britannici che lo interrogano. Lasciandolo a loro volta andare.