Fannulloni? ai giovani mon manca la voglia ma c’è discrepanza tra le competenze (basse) e le richieste del mercato

Fannulloni? Basta con questa retorica. I giovani ci sono, non manca la voglia. Mancano le retribuzioni dignitose. Ultimi in Europa. E c’è discrepanza tra le competenze acquisite (basse) e le richieste del mercato

di Enrico Pirondini
Pubblicato il 10 Luglio 2022 - 09:07 OLTRE 6 MESI FA
Fannulloni? ai giovani mon manca la voglia ma c’è discrepanza tra le competenze (basse) e le richieste del mercato

Fannulloni? ai giovani mon manca la voglia ma c’è discrepanza tra le competenze (basse) e le richieste del mercato

Fannulloni o no? Uffa, questa retorica dei giovani fannulloni,  figli del benessere, ha stufato. Perché non si dicono le cose come stanno?

Non manca la voglia, mancano stipendi adeguati. Poche storie. Esempio: Francesca, giovane di Secondigliano (quartiere di Napoli), si è vista offrire 280 euro mensili per 10 ore di lavoro in un negozio. Per di più in nero. No, grazie. Il salario-mancia non mi serve. Arrivederci.

Il lavoro per i giovani sta diventando una Via Crucis. I giuslavoristi spiegano il fenomeno affossando un luogo comune: “I giovani, quando non li si massacra, rispondono alla chiamata del lavoro” ha assicurato Luigi Sbarra, segretario generale Cisl, al convegno di Firenze.

Idem Pierpaolo Bombardieri, segretario generale UIL. E allora?  Perché siamo ultimi in Europa?  Perché molti (31,5%) dei nostri ragazzi – dai 13 ai 29 anni –  non sono occupati, non studiano? Il think tank tedesco “Bertelsmann Stifung”, un colosso che da 45 anni studia gli orientamenti futuri della società (con centinaia di ricercatori) ha certificato che stiamo peggio di tutti in Europa. Ultimi di 28 Paesi. I primi sono i Paesi del Nord (Paesi Bassi, Svezia, Norvegia). Tutti sotto il 10%.

FANNULLONI? È LA GENERAZIONE NEET

La chiamano così dal luglio 1999, è un acronimo  inventato in un report del governo del Regno Unito. Vuol dire “Not (engaged) in Education Employment or Training “, letteralmente “Non (attivi) in istruzione, in lavoro o in formazione “.

Neet è dunque è una persona che in un dato momento non studia, ne’ lavora ne’ riceve una formazione. Sono le cosiddette “persone inattive”. Insomma, persone che non hanno un impiego e nemmeno lo cercano. Un fenomeno sociale che interessa la fascia di età compresa tra i 16 e 29 anni, fino anche ai 35 anni.

Un fenomeno che si sta estendendo in altri Paesi del mondo, come Giappone, Cina, Corea del Sud. In Italia, secondo il report “Neet working“ elaborato dal Ministero delle Politiche giovanili, i giovani inattivi sono più di tre milioni con una prevalenza femminile di 1,7 milioni.

PRECARI, SFRUTTATI, SOTTOPAGATI. CHE FARE?

Due giovani su tre sono scontenti delle offerte di impiego. E non sono affatto “bamboccioni “come lasciava intendere nel 2013 la ministra Fornero (governo Monti) prima di togliere il disturbo. Consigliava i giovani di “non essere troppo choosy” (difficili, pignoli ndr) – detto all’inglese –  “perché non si può più aspettare il posto ideale “.

Basta vedere quanti laureati scappano all’estero. Specie dal Sud. Allora come uscirne? Servono politiche giovanili adeguate ai tempi che richiedono nuove competenze con l’avvento di nuove tecnologie. È da rivedere l’alternanza scuola-lavoro. Molti laureati hanno acquisito competenze risultate subito obsolete.

C’è discrepanza tra le competenze acquisite dai giovani e le competenze richieste dai datori di lavoro per coprire i posti vacanti. Se non partiamo da qui, ”dall’allarme gap” scuola-lavoro, resteremo il fanalino di coda d’Europa. Ultimi e mazziati.