Antonio Gozzi, tangenti in Congo? Perché a Chiavari e a Genova non ci credono

di Franco Manzitti
Pubblicato il 18 Marzo 2015 - 14:15| Aggiornato il 22 Marzo 2024
Antonio Gozzi, tangenti in Congo? Perché a Chiavari e a Genova non ci credono

Antonio Gozzi, tangenti in Congo? Perché a Chiavari e a Genova non ci credono

GENOVA – Antonio Gozzi, tangenti in Congo? Perché a Chiavari e a Genova non ci credono. Se ne era uscito dalla politica nell’ormai preistorico 1992, da segretario regionale ligure del Psi, l’ultimo dei mohicani di Craxi, proprio perché non aveva nulla a che fare con quel mondo di bustarelle, “stecche” ai politici, corruzione che stava travolgendo i suoi compagni da Milano alla Sicilia, da Roma al Veneto, dal Manzanarre al Reno, direbbe quel grande scrittore.

Via, scappa via, dai le dimissioni Antonio Gozzi, per gli amici Tonino, professore universitario di Genova-Chiavari, ragazzo per bene, socialista di quelli che sbavavano per i grandi vecchi alla Turati, ai liguri Barbareschi, Macchiavelli, con la cravatta nera a fiocco e il riformismo come una febbre negli occhi.

Vai via da quel Psi, mangiato dalla corruzione, corroso, in cui non riconosci neppure gli amici che ti hanno tradito e tu non lo sapevi che invece di elaborare politica, appunto riformista, elaborano appalti da cui succhiare tangenti, mediazioni aumm aumm, sai c’è il partito che ha bisogno e ci sono le elezioni, dacci una mano. E via buste che volavano dalle mani degli imprenditori a quelli dei faccendieri e approdavano ai politici, assessori, presidenti, sottopancia, copripancia a quell’esercito, allora era un esercito ribollente che riempiva le sale dei Comitati centrali e soffiava sul collo dell’imprenditoria.

Un avvocato-assessore, amico anche di Gozzi ma non certo suo compagno di merende, un giorno, in una clamorosa intervista a un giornale che correva dietro alle prime tangenti se la sparò così: “Devono capire gli amici industriali ( erano sempre “amici”…) che gli affari qui li stabiliamo noi e non loro, poi, se vogliono trattare siamo qua.”

E allargava le braccia quell’avvocato socialista, assessore, potente, venuto dal Sud, che teneva per il collo l’allora fiera imprenditoria zeneise. Piena di idee, progetti, master plan, dove far attecchire gli appalti, sempre che il Comune, la Regione dessero la loro approvazioni.

Allargava le braccia, l’avvocato socialista e sembrava abbracciare tutto: il business degli imprenditori, l’opera pubblica, l’onore dei cittadini e ahimè la bustarella per l’intermediario, il facilitatore, quello che faceva diventare verde il semaforo rosso della burocrazia, dei partiti, delle istituzioni, impalcate nei consigli elettivi.

L’allora neppure quarantenne Antonio Gozzi si tagliò via da tutto questo. Dal suo passato ruggente di enfant prodige del socialismo chiavarese, perfino vicesindaco in età quasi imberbe, predestinato a una carriera nazionale, considerato dai vertici romani il più dotato. Senza Tangentopoli sarebbe diventato magari ministro……

Addio garofani rossi, addio politica, qui viene giù tutto e io me ne vado…. Era già un brillante professor universitario a Economia e Commercio dell’epoca e aveva una parentela forte, suo zio materno era il potente Bruno Bolfo grande azionista della Duferco, una società già affacciata sul mondo con i rami di una multinazionale che trattava la commercializzazione e la produzione dell’acciaio e che sarebbe diventata un colosso dell’economia mondiale con presenza in 50 paesi, 27 location in Italia, 16 in Belgio, 12 in Francia e 7 negli Usa. Altro che il pantano di Tangentopoli quello che stava inghiottendo la Prima Repubblica, i suoi partiti, per primo il suo, quello di Gozzi Antonio detto Tonino, il PSI del socialismo da sogno giovanile.

Ventitrè anni dopo, quando tutto è cambiato, quando quel Tonino giovane socialista di sani ideali e di sagge decisioni, oggi a 61 anni, è diventato un big dell’industria, il leader della Duferco, il presidente di Federacciai, ma anche un leader di Confindustria e tante altre cose e viaggia il mondo a cavallo del suoi business, tenendo ancora le radici ben piantate in Liguria, arriva la folgore. Lo arrestano i magistrati belgi per corruzione, convocandolo improvvisamente a Bruxelles, coinvolgendolo in una storia romanzesca da 007 con tanto di personaggi scomparsi tra l’Europa e l’Africa e l’accusano, lui proprio lui, di avere pagato tangenti a ufficiali della Repubblica del Congo per ottenere favori in quell’Africa che più nera non si può per aprire sale da gioco, casinò.

Lo interrogano duramente, insieme a un suo collaboratore, gli strappano gli occhiali, gli legano le mani dietro la schiena e lo sbattono in una cella nel carcere di Saint Gilles, nel cuore della Bruxelles trendy, ma quella sera cupa, misteriosa.

Non è un contrappasso perché allora Tonino Gozzi, ultimo segretario regionale dell’ultimo Psi a Genova e in Liguria, dove i socialisti nacquero, che videro la fuga di Turati da Savona, la galera di Pertini, la Liberazione e poi o Sandro, presidente della Camera e poi il più amato presidente degli italiani con la sua pipa in bocca e la favella ruvida, i rimbrotti senza peli sulla lingua, era questo Tonino anche e soprattutto contro i tangentari, era stato talmente distante dagli scandali da recidere il suo legame con una politica che lo appassionava e nella quale non poteva accettare che ci fosse quel marciume.

Non è un contrappasso, è una beffa, anche al di là di quanto i magistrati belgi dimostreranno, perché a Gozzi capita quello dal quale era volato via, trovando la fortuna e un mestiere e un ruolo che lo stavano imponendo come uno dei leader liguri in assoluto, una specie di punto di riferimento prima chiavarese, poi ligure, poi nazionale e oltre.