Paolo Emilio Taviani, grande genovese e italiano: iniziativa del fu Pci lo ricorda, 22 anni dopo la morte e oblio

Paolo Emilio Taviani, grande genovese e italiano: iniziativa del fu Pci lo ricorda, 22 anni dopo la morte e oblio: partigiano, costituente, ministro, fu artefice della ripresa post bellica

di Franco Manzitti
Pubblicato il 18 Giugno 2023 - 09:39 OLTRE 6 MESI FA
Paolo Emilio Taviani, grande genovese e italiano: iniziativa del fu Pci lo ricorda, 22 anni dopo la morte e oblio

Paolo Emilio Taviani, grande genovese e italiano: iniziativa del fu Pci lo ricorda, 22 anni dopo la morte e oblio

Paolo Emilio Taviani, l’uomo politico più illustre di Genova nel Dopoguerra, lo studioso che sentenziò a prova di bomba la genovesità di Cristoforo Colombo, il fondatore della DC, il pluriministro per 25 anni della Prima Repubblica, è stato finalmente celebrato in modo degno. Esattamente 22 anni dopo la sua morte.

E paradossalmente a organizzare un affollatissimo incontro di rievocazione e approfondimento è stata la Fondazione Ds, gli eredi del fu Pci, che in vita furono gli avversari del grande genovese, morto alla vigilia del G8 di Genova, nel 2001 da senatore a vita. In prima fila tra il pubblico della attesissima celebrazione c’erano Ida, figlia di Taviani e due nipoti, Carlo, professore universitario a Teramo, con incarichi anche a Genova, figlio di Andrea e Elisa, un’altra nipote del grande genovese, che ebbe sette figli.

Nella cerimonia, che aveva come titolo il passato da costituente di Taviani, hanno spiccato, oltre al relatore ufficiale, il professore Agostino Giovagnoli, sociologo dell’Università Cattolica, editorialista dell’ ”Avvenire”, molto vicino a Sant’Egidio. E Giancarlo Piombino, 92 anni, sindaco di Genova dal 1971 al 1975, la testa più fine dei fedeli tavianei, colui che il leader democristiano definiva “il più intelligente di tutti”. E che ha dimostrato di esserlo ancora alla sua età avanzata.

Piombino ha chiuso un incontro molto partecipato, con una platea dove i postdemocristiani spiccavano di più degli organizzatori postcomunisti per numero, definendo con poche e dirette parole il ruolo di Taviani nella politica italiana, al di là della Resistenza e della Costituente.

“Ci sono punti fermi che vanno chiariti, ha spiegato con fermezza, perché Taviani li possedeva e ci ha costruito tutta la sua vita politica, insieme a un forte collegamento con la vita concreta. Per lui il Codice di Camaldoli, nel quale si dettano le regole di giustizia economica in una società complessa, è stato il passaggio di ingresso del mondo cattolico nella modernità”.

Lo studio e il dibattito su questo Codice sono stati la svolta per Taviani giovane, che era cresciuto in pieno fascismo.

Il secondo punto fermo è stato, da fondatore della Dc, la laicità in politica anche per i cattolici come i democristiani.

“Ci deve essere distanza tra politica e religione e su questo Taviani ha sempre insistito”, ha ricordato Piombino.

Un altro punto fermo e incontrovertibile nella “dottrina” tavianea, secondo Piombino, è la necessità nel governo dello Stato dell’ economia mista, cioè di una organizzazione nella quale il settore pubblico affianchi imprenditorialmente i privati.

È chiaro che questa visione, costruita sicuramente partendo dal Codice Camaldoli (e nella via tracciata scientificamente da Amintore Fanfani, non sempre un alleato di Taviani nei lunghi anni di condivisione governativa e di partito) aveva avuto, come ricorda ancora Piombino, una vera prova del fuoco a Genova. Qui le Partecipazioni Statali sono state fondamentali nello sviluppo economico di Genova e del Paese e dove il loro insediamento è stato sicuramente favorito dal leader ligure.

Piombino ha anche voluto chiarire, forse un po’ in difformità da quanto sostenuto da Giovagnoli, la posizione tavianea sulla Resistenza.

“Ha sempre voluto che il mondo della Resistenza in Liguria fosse “unificato”. E per questo ha sempre voluto che ci fossero rapporti forti con il Pci. Taviani distingueva bene gli interlocutori di questi rapporti. Nel senso che preferiva distinguere Togliatti da Secchia.

“ Il vero pallino di Taviani, ha detto ancora Piombino, era la politica estera, da seguire sempre in modo non ideologico, tenendo presente il ruolo dell’Italia rispetto al mondo”.

“In questo senso l’esempio che amava fare era quello del supercancelliere Bismarck, che sosteneva come la bussola di tutta la politica di un paese non poteva che essere la politica estera.”

Infine Piombino ha citato, non senza sollevare commozione nella platea, l’ultimo discorso di Paolo Emilio Taviani in Parlamento, venti giorni prima di morire, fatto davanti al Senato appena eletto, di cui era il membro più anziano.

“Taviani in un beve e lucidissimo intervento aveva segnalato il rischio di un ritorno dell’anti semitismo. Aveva, quindi, lanciato un allarme che l’attualità degli anni recenti e recentissimi ha dimostrato essere purtroppo necessario, davanti ai segnali sempre più frequenti di un fenomeno che torna pericolosamente e minaccia la libertà e la democrazia.

Il relatore ufficiale, Agostino Giovagnoli, era stato introdotto per la Fondazione Ds da Fulvio Fania con un intervento che raccoglieva molti spunti dell’eredità lasciata da Taviani non solo a Genova, con tante opere fondamentali per il suo sviluppo, ma nella politica italiana e internazionale.

E subito dopo aveva salutato, con la consueta verve, il sindaco di Genova, Marco Bucci, che poi ha assistito a tutta la conferenza con attenzione e ha approfittato dell’occasione per annunciare che finalmente verrà intitolato a Paolo Emilio Taviani un luogo importante di Genova, probabilmente le nuove Darsene del Water Front di Levante, quelle disegnate da Renzo Piano.

Giovagnoli ha battuto più la strada della vocazione cristiana e delle radici cattoliche che non quella prevista nel titolo della conferenza su Taviani costituente.

Ha ricordato l’impegno nella Fuci e nei Laureati Cattolici, dove era maturato l’antifascismo e l’uscita dal corporativismo, cui il giovane futuro leader aveva inizialmente trovato ragioni sociali.

“Taviani era stato accusato in gioventù di essere socialista, proprio perché si batteva per l’uguaglianza “filtrata“ dalle corporazioni, ha ricostruito l’oratore, ma poi ha avuto il merito di aprire alla modernità, al dibattito internazionale. Proprio attraverso il Codice di Camaldoli, consacrato” nel luglio del 1943 come verbo dell’impegno cattolico in economia, in un celebre convegno che aveva preceduto di otto giorni il fatidico 25 luglio 1943, la caduta di Mussolini.”

Per spiegare quale era la visione di Taviani sulla Resistenza, Giovagnoli ha ricordato una frase pronunciata nel 1965 dall’allora ministro della Dc: “La Resistenza ha riscattato al mondo l’Italia soprattutto davanti alla sua coscienza”.

E questa frase spiega bene anche come Taviani fece parte della guerra partigiana per dare all’Italia quel Secondo Risorgimento che avrebbe portato la pace. “Quella guerra era sbagliata e dopo l’obiettivo è stato la pace, sempre.”

È vero che il grande genovese è stato un convinto atlantista, rischiando anche per questo nelle polemiche degli “anni di piombo”, in quelli delle “trame nere”, quando c’era il sospetto che gli atlantisti in qualche modo potevano essere compromessi perché l’ atlantismo era sospettato di vicinanza a chi tramava da destra….

La risposta a queste striscianti obiezioni è stato lo scioglimento della formazione fascista di “Ordine nuovo” che Taviani decretò con i suoi poteri di ministro dell’Interno nel 1974.

“Rumor e soprattutto Moro non era favorevoli a questo, ha ricordato Giovagnoli, rispolverando un altro aneddoto ancora più antico, del tempo negli anni Sessanta, in cui si parlava in Italia di un temuto golpe di destra: “A quell’epoca si diceva che Segni, allora presidente della Repubblica, avesse chiesto di non convocare in una riunione di emergenza Taviani “perché era “comunista”.

Come avrebbero dimostrato tanti attentati, le bombe sui treni, la strage di Bologna e quella di piazza della Loggia a Brescia negli anni Settanta, quel timore di atti eversivi era più che fondato.

Si arriva così nel percorso tavianeo alla famosa sua posizione sugli “opposti estremismi”, che in una intervista dell’allora ministro al direttore dell’”Espresso”, Eugenio Scalfari, sollevò un grande polverone.

Taviani secondo il testo dell’intervista temeva che il pericolo eversivo grave venisse sopratutto dall’estrema destra, come gli attentati sanguinosi stavano dimostrando.

Ma l’esplosione anche dell’altro estremismo, quello rosso delle Br e delle altre formazioni estremiste dai Nap a Prima Linea, a Azione Rivoluzionaria, che uccidevano, sequestravano, processavano, mise il ministro in difficoltà nell’ottica democristiana di altri leader, sopratutto Amintore Fanfani e Aldo Moro. Che poi finì tragicamente come la vittima definitiva di quella strategia “rossa”, così efficace e terribile nelle sue azioni destabilizzanti.

L’ultima parte della relazione di Giovagnoli viene finalmente dedicata a Taviani costituente, che “è un uomo diverso da quello che si innamorò del Codice di Camaldoli”.

Taviani costituente è, infatti, uomo di partito, democristiano ben immerso nella politica dei partiti, nei loro scontri e nelle loro convergenze.

“Il suo contributo alla Magna Carta italiana, ha sostenuto il relatore, è soprattutto dedicato ai primi tre articoli, che secondo tanti esperti avrebbero potuto essere anche uno solo, vista la indissolubilità del tema cruciale del lavoro.”

Era chiaro che gli studi, la vocazione di Taviani, lo avevano portato a collaborare soprattutto sui suoi temi più amati, l’economia sociale, il concetto di “proprietà”, della sua funzione sociale con l’allegato della proprietà agricola e della sua “redistribuzione”. Concetti e definizioni che furono accolti con un dibattito che aveva coinvolto personaggi come La Pira e Dossetti.

La “storica” riunione, che ha colmato il vuoto della memoria tavianea, si è chiuso con un saluto molto applaudito e sentito di Ida Taviani, che a nome di tutta la famiglia ha ringraziato, citando anche uno aneddoto di una seduta alla Camera del 1948 nella quale suo padre aveva replicato in modo deciso a un intervento di Palmiro Togliatti.

Il grande leader comunista, reduce dal grave attentato subito per mano di Pallante, non aveva ascoltato la replica del collega genovese. Si era dovuto allontanare, ma aveva fatto arrivare a Taviani una piccola busta con un testo gentilissimo, nel quale si scusava spiegando che le sue precarie condizioni dopo l’attentato non gli consentivano di stare troppe ore in seduta.

Quel piccolo scritto e l’episodio sono stati conservati da Taviani e poi dalla sua famiglia. E la relativa citazione ha chiuso in modo esemplare un incontro che si deve agli eredi di oggi di Togliatti e che i tavianei di ieri e di oggi, e soprattutto la famiglia del grande ligure, hanno molto apprezzato.