A Rosarno i bianchi contro i neri, la prima guerra etnica d’Italia

Pubblicato il 8 Gennaio 2010 - 14:51| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

 

A Rosarno prima guerra etnica in Italia

 

E’ la prima rivolta etnica in Italia, non sarà l’ultima. E’ scoppiata ovviamente nel luogo più “illegale” d’Italia, ma cova e fermenta in molti altri luoghi della penisola. Ecco il film della “Rivolta di Rosarno”, un film dove la parte dei “buoni” non la recita nessuno, è assente dal copione e dalla sceneggiatura.

Prima scena: migliaia di “neri” vengono fatti lavorare nelle campagne. Venti euro al giorno, di cui cinque vanno agli arruolatori. “Orario” di lavoro: dall’alba al tramonto. Di giorno i “neri” sono bestie da lavoro sopportati, di notte devono sparire. Rintanarsi in alloggi fatiscenti che le stesse autorità definiscono “gironi danteschi”. Gli agricoltori della zona dicono che lavoratori regolari non ne possono pagare e che quindi l’unico lavoro possibile è quello nero per i neri. Dicono che c’è “la crisi dell’agricoltura”. E’ una teorizzazione, forse inconsapevole ma di certo esplicita, del lavoro schiavile.

Seconda scena: con i “neri” ci si guadagnano soldi. In Calabria qualunque attività dove si guadagnano soldi è controllata o “osservata” dalla criminalità organizzata. I “neri” sono sotto la doppia pressione dei “padroni” e dei boss. Sopportano gli uni e gli altri. Si aggiunge un razzismo endemico, spontaneo, quotidiano e “naturale”. Se e quando i “neri” escono dal circuito campo-tana, la gente del posto li evita e talvolta si diverte a ricordare loro che sono umanità di serie inferiore. Fino a che un giorno qualcuno prende un fucile ad aria compressa e spara al “nero”. Mica per ucciderlo, ma per tenerlo al “suo posto”.

Terza scena: i “neri” si ribellano. Con rabbia violenta: sfasciano, minacciano, invadono. Quel che succede nelle banlieu parigine, quel che succedeva nei ghetti delle metropoli americane, quel che pensavamo, chissà perchè, da noi in Italia non potesse mai succedere. I “neri” fanno male e fanno paura. Commettono reati ma soprattutto “occupano” la terra, le strade, lo spazio dei bianchi.

Quarta scena: i bianchi reagiscono, centinaia di giovani calabresi, parole loro, danno “la caccia all’africano per difendere le nostre case”. Negozi e scuole chiuse. Qualcuno spara stavolta non a salve. La polizia cerca a fatica di impedire lo scontro di piazza tra neri e bianchi.

Quinta scena: il governo capisce cosa sta succedendo. Affida l’emergenza ad una “task force” che comprende uomini del Viminale, del ministero del Welfare , della Regione Calabria. Perchè, parole ufficiali, l’emergenza è insieme di “ordine pubblico, lavoro neo e assistenza sanitaria”. Capisce, ma lavora, come dice il commissario prefettizio Domenico Bagnato, in una “situazione grave e pesante”. Quanto grave e pesante? Il corteo dei “neri” va sotto la sede del Comune, ma il Comune non c’è, è sciolto per infiltrazioni mafiose. Le ronde di autodifesa dei bianchi accerchiano il corteo dei neri, gridano: “Andatevene in Africa”. E un grido che ha più o meno lo stesso suono viene da Roma, dal ministro degli Interni Maroni che oggi si ricorda di essere prima leghista e poi ministro, per lui questi clandestini sono “troppo tollerati”. La polizia, che è insieme quella di Maroni ma anche della legge e dell’ordine pubblico, se si azzarda a fermare i bianchi violenti rischia insieme la sollevazione della gente e il biasimo del ministro. Se attacca i “neri” rischia la tragedia. Sta quindi più o meno ferma, in mezzo.

La “Rivolta di Rosarno”, un film dove sono tutti cattivi e incattiviti: i “neri”, i bianchi, la gente, gli agricoltori ci dice quel che in fondo avremmo dovuto già sapere. Quel che è sempre accaduto, sempre e ovunque. Puoi usare ed estendere il lavoro nero fino a farne sistema, puoi far diventare il lavoro nero delle altre etnie, dei clandestini, lavoro e condizione schiavile. Lo puoi fare, nessuno ti ferma davvero e puoi perfino invocare le leggi dell’economia a sostegno di quello che fai. Puoi decretare per legge che i clandestini non devono esistere e che quindi, siccome ci sono e lavorano per te italiano, al calar del sole devono sparire nelle tane. Puoi, come si comincia a fare al Nord, ispezionare le loro case a caccia di documenti scaduti. Puoi comunicare loro per via di legge, di stampa e di tg, che non sono graditi. Puoi, d’accordo con il sentire popolare, additarli come fonte di guai e di contagio.

Puoi fare tutto questo, per farlo ce ne sono in Italia sia le condizioni materiali che le leggi di Stato che il consenso d’opinione. Però non puoi farlo gratis. Ovunque nel mondo hai fatto o fai questo il prezzo è la rivolta. Rivolta bestiale di quelli che hai trattato come bestie.